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rapideNon so se avete presenti le rapide. Quelle dei fiumi, nei canyon.
Io non le ho mai attraversate, le ho solo viste da lontano o ammirate da uno schermo, nei film americani. Ma c’è chi le affronta: per sport, per provare l’adrenalina della discesa, dell’accelerazione, il sapore del rischio.
Ecco, per provare almeno un po’ quello che stanno passando Dafne e Alberto, dobbiamo cercare di andare lì col pensiero, in quel punto preciso in cui il fondo del fiume comincia ad inclinarsi, l’acqua a correre, il rumore a sovrastarti. Se non sei preparato, se solo stai pensando che tutto sta filando liscio, sono veramente cavoli amari.  Cercate d’immaginare lo strattone, la percezione di non poterti fermare, l’acqua che imbarchi. Non riuscire più a vedere oltre gli spruzzi e la nebbia di goccioline che oscura tutto.
E la paura blu dei massi, che ti colpiscono ai fianchi, a tradimento.
Le storie recenti di Alberto e Dafne hanno in comune proprio lo stesso punto di stacco, di avvio della discesa a rotta di collo: la separazione dai propri compagni di vita. Un taglio netto, improvviso, che nel caso di Alberto è reso più doloroso da un conflitto duro con la ex moglie, da una guerra che neanche i Roses.
E’ da lì che cominciano le difficoltà: le spese da affrontare da soli, la vita da ricostruire, i figli di mezzo. Lì parte la corrida con la vita: non sei più una coppia, con due stipendi su cui contare. Sei da solo e la linea di galleggiamento si alza pericolosamente. Sei da solo e da solo non sei più “ceto medio”.
L’affitto, la spesa, per Alberto pure il mantenimento. Ti guardi intorno, e all’inizio una mano ti arriva dalla cerchia più vicina: Alberto torna per tre mesi dai genitori; Dafne, più in là con l’età, cerca una sistemazione autonoma con la propria figlia dodicenne. L’ex marito le affitta pure la casa, perché la figlia vuole tornare a vivere vicina ai compagni di scuola (“e cosa non si farebbe per i figli?”); ma proprio l’ex marito finirà per darle lo sfratto, per morosità.

Quel punto di stacco, sulla linea del tempo, è diverso per i due: undici anni fa per Dafne, due anni fa per lui.
Dafne, addetta in una mensa, non poteva e non può contare su uno stipendio sufficiente a mantenere lei e la figlia; Alberto, nel nuovo caotico assetto, cerca di conservare il suo posto di tecnico specializzato, collaudatore.
Ma, si sa, le rapide non hanno l’abitudine di mollare troppo presto; e i guai, come si dice, non arrivano mai da soli.
Che poi, per Dafne, non si potrebbe nemmeno parlare di guai, perché è davvero un peccato considerare così la nascita di una nipotina, due anni fa. E dunque non più due, ma tre, in casa e i costi di una nuova vita sbilanciano il gommone.
Per Alberto, invece, c’è la cassa integrazione a zero ore. Dopo dodici anni di fiero lavoro, in un’azienda che aveva allora 350 dipendenti, ritrovarsi a malapena in 120, la metà in cassa integrazione.
Per fortuna c’è una nuova compagna, che ti tiene appena a galla, in tutti i sensi.

E allora, che fare?
Un’amica di Dafne e un vicino di casa di Alberto consigliano loro di andare alla Caritas.
Andare alla Caritas. Mi pare di vederla Dafne che si rigira tra i denti questo boccone per settimane; ingoiare, sputare, non si riesce a decidere. Una strada che non si vorrebbe intraprendere, una porta a cui non si vorrebbe bussare. Vergogna? “Sì, – mi dice lei, senza tanti giri di parole – vergogna. Imbarazzo. La sensazione di aver fatto qualcosa di male. Ma io non ho fatto niente di male. Vero?”.
Poi, un giorno d’autunno, la decisione presa, senza più pensarci, come afferrare un ramo improvvisamente spuntato dal nulla, nella corrente. Si va al Centro d’ascolto, senza appuntamento.
Vada come deve andare. O la va, o è comunque già spaccata.
E al Centro Dafne viene accolta, senza grandi formalità, ascoltata. Piange.
Nel giro di un paio di settimane le fanno la proposta dell’Emporio, che neanche immaginava esistesse.
Alberto, invece, dice che non ha avuto vergogna. “Forse – mi dice senza ombra di autoironia – perché sono umile di mio. Sono uscito di casa a diciott’anni e ho sempre fatto scelte in autonomia. L’appartamento, le scelte professionali, la mia famiglia. Finché ho potuto ho fatto anche beneficienza e solidarietà, donando qualche euro a chi me lo chiedeva. Insomma, andare alla Caritas è stata una scelta come le altre nella mia vita, naturale. Prima donavo, poi ho avuto la necessità di chiedere aiuto.
Sì, beh, diciamo che un po’ di pudore c’è stato,  soprattutto perché al Centro d’ascolto ci sono un sacco di extracomunitari, e questo ti mette a diretto confronto con una realtà, diciamo… diversa dalla nostra”.

Per qualche mese Alberto ritira il suo pacco di aiuti alimentari e poi approda all’Emporio: “Dal ricevere il sacchetto, a fare la spesa, ho fatto un bel salto. All’inizio ero basito. Mi dicevo: ma chi diavolo l’ha pensata e creata, questa cosa qui. Ci deve essere sotto un gran lavoro…”.
Anche Dafne mi confida che i primi tempi era un po’ in imbarazzo, ma poi ha trovato persone che l’hanno accolta, sostenuta nelle scelte per gli acquisti: “Qui trovi sempre qualcuno che ti chiede “Ciao, come va, tutto bene?”. “I ragazzi – così chiama i volontari – sono affabili. E simpatici”.
Nella corrente del fiume, che ha rallentato solo un po’, l’Emporio diventa così un punto di riferimento; Dafne ci viene due volte la settimana, con la sua bicicletta, e non è che viva proprio lì a fianco. Alberto invece fa la spesa ogni quindici giorni: pasta, sughi, pannolini, tonno, detersivi, scatolame, latte, biscotti,  carta igienica.
Alberto va comunque al supermercato – quello vero – per il fresco, Dafne nemmeno per quello; ci corre solo per colmare qualche buco, se ha finito qualcosa e non se ne è accorta.

Entrambi tra qualche mese finiranno il loro percorso di un anno all’Emporio; dovranno restituire la tessera a punti.
Nella nostra chiacchierata accenno al tema con un po’ di timore, chiedo loro del futuro.
Alberto si fa una risata di gusto, trascinante; poi spalanca i suoi occhi azzurri e mi dice che si sente come bloccato, che non sa, che vede buio.

Il loro viaggio nelle rapide, parallelo e per molti versi simile, forse cesserà al prossimo punto di svolta, che intravvedono all’orizzonte. Nel 2018.
Gennaio: fine della cassa integrazione di Alberto; settembre, fine dell’asilo nido per la nipotina di Dafne.
Entrate su, o costi giù.
Semplice, no?
Sì, semplice. Come pagaiare su un fiume ritornato amico, come lasciarsi andare sul suo letto; come non doversi più svegliare la notte per i pensieri, come restituire la tessera all’Emporio e dire grazie, ora ce la faccio da solo.
C’è chi l’ha fatto, qualche settimana fa. E sono soddisfazioni.
Buon viaggio, Alberto. Buon viaggio, Dafne.

Oliviero Motta