Il 22 maggio scorso, durante la conferenza “Abitare ai margini” promossa da La Rotonda APS, abbiamo avuto l’occasione di portare uno sguardo dai territori sull’esperienza della nostra cooperativa nel lavoro con la grave marginalità adulta. Un’occasione preziosa per condividere dati, riflessioni e domande aperte su un fenomeno spesso invisibile, soprattutto fuori dai grandi centri urbani. Nel 2024 Intrecci ha incontrato 6.947 persone, di cui 1.770 nell’ambito dei servizi per l’inclusione sociale. All’interno di quest’area, un campione di 19 servizi dedicati alla grave emarginazione adulta ha intercettato 1.074 persone in situazioni di forte vulnerabilità.
Chi sono queste persone?
Molti beneficiari dell’hinterland milanese e delle province limitrofe vengono da quei territori, vi sono nati o hanno vissuto lì per anni prima di scivolare in una condizione di marginalità. Alcuni dormono in macchina, in cantine, in garage, all’aeroporto di Malpensa o in fabbriche abbandonate. Una parte significativa ha una malattia psichiatrica non trattata; la maggior parte sono italiani (e uomini), ma cresce la percentuale di donne e di giovani e rimangono tanti gli stranieri irregolari, spesso invisibili ai servizi, o regolari che finiscono in strada dopo uno sfratto.
Le traiettorie che attraversano sono complesse e mai lineari:
- La caduta è spesso lenta: in provincia, la rete informale “ti tiene sul divano”, ma quando la rete famigliare e amicale si deteriora si arriva a chiedere aiuto solo “troppo all’ultimo”. Serve continuare a investire anche sulla prevenzione per evitare lo scivolamento della “fascia grigia”; e nel panorama recente di finanziamenti per il contrasto alla povertà estrema è questo il tassello più sacrificato e residuale.
- La vita in fondo è fatta di isolamento e spostamenti giornalieri lungo le linee ferroviarie. Da quando i servizi prendono in carico queste situazione anche fuori da Milano, prevale la paura della grande città e si tende a non gravitare più sulla metropoli, anche se nei Comuni più piccoli rimane il problema dell’accesso ai servizi a bassa soglia.
- La risalita, quando avviene, ha un punto d’arrivo che per molti è una casa popolare. Ma senza un accompagnamento adeguato, anche questo traguardo può trasformarsi in una nuova crisi.
Un dato su tutti: solo il 30% delle persone risalgono, e tanto dipende dagli strumenti che hanno queste persone in partenza, mentre il 70% resta bloccato in situazioni di emarginazione, soprattutto se manca una presa in carico prolungata. Nei nostri servizi ASEA (Accompagnamento Socio-Educativo Adulti), il tasso di risalita è più alto, ma non basta, serve tutta la filiera, dai servizi di base all’accompagnamento per riuscire a sfondare il tetto dell’esclusione. Inoltre, come ricorda la F.i.o.PsD (Federazione Italiana delle Organizzazioni che lavorano con le Persone Senza Dimora), questi numeri confermano l’importanza del “superamento del mito dell’esito positivo o dell’autonomia sempre e comunque, a favore di una presa in carico conservativa che accompagni la persona verso il mantenimento di una condizione di benessere bio-psico-sociale dignitoso” (Report di restituzione dell’evento fio.PSD, 9 aprile 2025 – Bologna).
Cosa abbiamo imparato?
Il minimo comun denominatore di chi vive in grave marginalità non è solo la mancanza di casa, lavoro o salute. È la mancanza di relazioni. Ed è proprio sulle relazioni che dobbiamo continuare a lavorare: quelle tra beneficiari e operatori, ma anche tra i diversi attori del territorio.
Nelle nostre province non ci sono “le masse”, ma numeri con cui si può lavorare in modo “di fino”. Tuttavia, servono tutte le componenti della filiera: la bassa soglia, i dormitori, l’accompagnamento, l’housing. E serve che siano integrate, anche tra Ambiti diversi.
Housing First, Housing Led, o Housing… Fast (come nel modello di Torino). L’importante è avere le case, e non “innamorarsi di un modello” acriticamente, per contrastare il problema dell’abitare con soluzioni diversificate in grado di dare una risposta adeguata a bisogni diversi per persone e momenti diversi.
Il nostro modello di dormitorio con accompagnamento sociale – che non è un semplice “parcheggio” ma uno spazio di relazioni e ricostruzione – resta uno strumento fondamentale, anche in provincia. Così come lo sono le politiche abitative pubbliche, senza le quali anche il miglior progetto rischia di arenarsi.
Infine: la residenza. Senza un sistema di residenza fittizia funzionale è impossibile accedere ai diritti di base, e le Amministrazioni locali devono rendersi conto che attivare la residenza fittizia non porta ad aumentare i costi, ma permette al contrario alle persone di accedere a sistemi di sostegno sovra-comunali (dall’Assegno di Inclusione in avanti) e intraprendere il cammino verso l’inclusione senza rimanere un “peso” solo per il Comune su cui gravitano.
Non abbiamo ancora tutti i dati che vorremmo, ma ci stiamo lavorando. Stiamo imparando a valutare l’impatto, a raccogliere numeri significativi, a raccontare meglio cosa accade “ai margini”. Speriamo che tra dieci anni potremo dire cose ancora più interessanti. Intanto, continuiamo a stare nei territori, “sensibili ai luoghi” e cercando di mettere i margini al centro, come è nel nostro DNA.