Offrire accoglienza a persone senza dimora significa spesso accettare delle sfide. Non sempre certe sfide si possono vincere, e il rischio è di incappare in piccoli e grandi fallimenti. Ma il coraggio di provare rimane essenziale per tentare di capire, migliorare, e cercare di “mettere i margini al centro”.
Guido non è certo un uomo di primo pelo. Forse non sapremo mai quale è il suo vero e intero percorso di vita ma nella sua mezza età, quando il traguardo dei 50 anni è già alle spalle, capita che lo incontriamo e, nonostante qualche perplessità, gli offriamo accoglienza. Ci sembrava di osare il giusto, di non fare un passo troppo azzardato. Siamo un po’ equilibristi nelle accoglienze: dobbiamo sempre soppesare la volontà di aiutare le persone da un lato, e dall’altro vedere i nostri e i loro limiti, considerare le dinamiche della convivenza, ipotizzare percorsi virtuosi.
Comunque sia andata l’azzardo era necessario, aveva e ha avuto senso.
Uno dei nostri progetti nell’ambito penale ha a che fare con le persone sottoposte a provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria. La nostra valutazione è che sia più semplice, o per lo meno ha esiti maggiormente positivi, lavorare nel passaggio carcere/libertà piuttosto che sostenere percorsi di misura alternativa (una situazione già in essere per la persona) che ad un certo punto si interrompono per un allarme: solitamente salta l’alloggio, il posto letto, il domicilio e la misura alternativa rischia di chiudersi. A Guido va esattamente così: è in detenzione domiciliare, arriva dal Piemonte ma quando l’assistente sociale dell’ufficio di esecuzione penale esterna ce lo presenta abita a Cassano Magnago, ha una situazione conflittuale con il coinquilino (proprietario della casa), un lavoro vicino ad Arona e – come spesso capita – un po’ di fatica nella gestione della sua lucidità.
Guido viene accolto alla Domus Sant’Anna di Busto Arsizio a fine febbraio. Il suo ritmo di vita è scandito da una sveglia che suona molto presto, un treno direzione Arona, poi un passaggio a piedi nel Comune dove svolge la sua attività, una giornata di lavoro e poi il percorso al contrario, per tornare in Domus. Faticoso: così ci appare subito quello che deve affrontare, ma lui sembra una persona che non si spezza e persevera nei suoi impegni. Una cosa è certa: il lavoro è a bassissimo reddito e i soldi sembrano non essere mai sufficienti. Il viaggio in treno ha un costo elevato ed elevata è anche la stanchezza alla sera. I primi due mesi girano bene: la partecipazione alle attività della casa è buona, il rapporto con gli altri ospiti funziona, le lamentele sono poche, così come le sue richieste.
Ci si confronta con serenità e serietà con Guido, gli riconosciamo una buona abilità lavorativa in generale, e questo ci porta a formulare alcune proposte: un tirocinio più prossimo alla Domus, attività di volontariato in parrocchia, aggancio al servizio di cura. Formuliamo il tutto e a giugno (quando lui aveva comunque interrotto il suo lavoro ad Arona) tutto sembra essere pronto. Le autorizzazioni ci sono, manca la convenzione, poi manca altra documentazione, poi bisogna aspettare ancora a causa dei tempi della burocrazia. Intanto Guido partecipa in modo attivo alla vita della parrocchia, soffre di mal di schiena ma riesce a sistemarsi con la cura “a domicilio”, racconta di aver avuto i complimenti persino del sindaco del paese piemontese che finalmente l’ha trovato in ripresa… Restano i debiti, una casa che potrebbe essere ereditata, mobili dell’ultima abitazione a cui trovare un rifugio… Chissà se è solo questo o se accade altro e se noi non siamo riusciti a mettere in fila le giuste risposte nei momenti dovuti. BOOM. Guido esplode. Qualcosa si rompe dentro di lui e tutto diventa ostile e Guido diventa un corpo estraneo alla parrocchia, al lavoro, al volontariato, ai compagni della Domus.
Ce ne accorgiamo tardi, cerchiamo di rimediare ma lui non è più disposto a farlo, e la tensione diventa insulto, continua discussione con il tono della voce alto, conflittualità con tutti, comportamenti sopra le righe, disponibilità a condividere idee solo con un amico. Il tirocinio non inizia, il volontariato gli appare come la più grande fregatura dell’anno, la tensione prende il sopravvento. Il clima in casa è tesissimo, l’estate non aiuta e il numero degli operatori è anche limitato a causa dei periodi di ferie delle colleghe e dei colleghi.
Il rapporto di fiducia e di collaborazione si è incrinato. È tempo di dimissioni, perché trascinare un’accoglienza così non può portare a nulla di positivo. Consegniamo a Guido una lettera con una data: al termine della misura dovrà lasciare la Domus senza alcuna possibilità di proroga o di cambiamento. Le ultime settimane sono lente per tutti. Controlliamo al meglio la situazione, chiediamo al custode di essere ancora più attento e preciso. Ci siamo: prima di Ferragosto Guido se ne va. I saluti sono pochi, non è bello lasciarsi in questo modo.
Cosa proviamo di fronte a questa storia, breve e di intensa sofferenza? Delusione, ma nessun tradimento: avremmo potuto essere più presenti, avremmo potuto “spingere” di più in alcuni momenti positivi, avremmo dovuto provare a non dare per scontato che nella cronicità di alcune storie i cambiamenti a volte sono difficili e forse dolorosi, quasi impossibili. Ci siamo concessi di provare. Anche Guido se l’è concesso, ma poi le energie gli sono mancate.
Quando accogliamo le persone nelle nostre strutture vorremmo sempre accompagnarle ad una soluzione, ad una svolta positiva, ma non sempre si riesce a centrare questo obiettivo. Ci piace pensare che anche nella “violenza” dell’ultimo mese di Guido alla Domus qualcosa di positivo sia comunque successo, per noi e per lui. Abbiamo riflettuto e messo in luce alcuni snodi dove avremmo dovuto mantenere più alta l’attenzione, abbiamo presente la necessità di approfondire meglio alcuni passaggi, di essere più cauti ma ugualmente coraggiosi nell’accogliere.
Credo che lo rifaremo. Si impara e si cresce solo attraverso tentativi ed errori. Ma ci sarà ancora la porta aperta per persone di mezza età sopraffatte dalla fatica e bisognose di cura, di un posto dove riposare e di qualcuno che condivide una via d’uscita dalla marginalità.
A volte Guido ci cerca, ci chiama. È ancora arrabbiato e probabilmente non ha un posto dove stare, almeno in modo tranquillo.
Dalla periferia noi ricominciamo… con la convinzione che ogni fallimento può essere un’occasione per capire un po’ meglio le vicende di chi fatica, e la disponibilità di chi ha possibilità di prendersi cura.
Sabrina Gaiera
Le nostre attività per l’inclusione sociale e nel carcere: https://www.coopintrecci.it/cosa-facciamo/inclusione-sociale/