Skip to main content

All’interno della rassegna “Cattedre della carità”, in occasione dei 50 anni di Caritas Ambrosiana, sabato 17 maggio si è svolto presso lo SPAZIO27b di Legnano l’incontro “CARCERE E CARITÁ: percorsi che non si esauriscono tra le mura di un carcere”.
Ospiti della mattinata Giovanni Bochicchio, direttore UEPE Varese e Fabio Corso, coordinatore della comunità “Il Gabbiano”.

L’avvio della giornata ha visto la lettura della testimonianza di un detenuto di Bollate che in art. 21 fa il volontario presso la Casa della Carità a Milano. Una testimonianza carica di speranza e della necessità di avere dal carcere una finestra sull’esterno. Due le immagini evocate dal detenuto: la potenza delle parole di Papa Francesco e l’immagine della statua della Madonna “a strisce” quando il sole entra dalla finestra ad illuminarla. Dopo la riflessione letta dal cappellano del carcere di Bollate, don Stefano, la mattinata ha preso avvio con l’intervista ai due ospiti.

I dati che abbiamo ascoltato viaggiano su due binari precisi: il carcere e la poca utilità del periodo di detenzione vissuto solamente all’espiazione della pena “in cella”; il valore della comunità come luogo di espiazione della pena e il prezioso contributo della società civile e dei volontari nel rendere la comunità luogo di reinserimento e ridefinizione del proprio progetto di vita. Il direttore dell’Ufficio esecuzione penale esterna (UEPE) di Varese ha evidenziato l’appartenenza del suo ufficio al dipartimento della giustizia minorile e di comunità e qui il ruolo delle parole può cambiare il punto di vista: la comunità è chiamata a intervenire nella pratica della giustizia. Questa novità può o forse deve diventare fermento e motivo di attivazione per i volontari dei centri d’ascolto e per tutti i volontari.

Il dottor Corso ha raccontato dell’esperienza possibile delle misure alternative in comunità concesse alle persone più fragili, “pluriproblematiche” (come siamo soliti etichettare in questi tempi le sofferenze devastanti che uniscono la fragilità sociale, l’uso di sostanze, l’esordio delle malattie psichiatriche); tali persone in comunità trovano un luogo meno angusto dove espiare la propria condanna, un luogo che restituisce identità dopo la destrutturazione che il carcere può fare dell’identità delle persone. Il carcere è luogo di controllo e difficilmente riesce a produrre “salute” nel senso più ampio del termine.

Una mattinata di approfondimenti, riferimenti legislativi, racconti di storie e la consapevolezza che il volontariato è protagonista nel suo entrare in carcere per portare all’interno il ruolo e il senso di vicinanza e appartenenza del carcere alla comunità; attivandosi all’esterno a sostegno delle famiglie, al loro ascolto.

In ultimo anche Mario si è alzato tra il pubblico e ha ringraziato chi gli sta permettendo di vivere in un luogo così bello e ricco di opportunità e relazioni la parte finale del suo percorso detentivo. Sperimentazioni possibili, anche all’interno dello Spazio27b, grazie a collaborazioni basate sulla fiducia delle realtà coinvolte e la volontà di abitare i luoghi promuovendo giustizia sociale e promozione della dignità.

La cattedra della carità ci ha permesso di conoscere, approfondire, dare parole nuove alle pratiche di giustizia, conoscere altri luoghi in cui essere testimoni. Grazie a chi ha organizzato con precisione la mattinata e ha reso possibile l’ascolto e il confronto.