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Kamal (il nome è di fantasia) era pronto da tempo alla sua scarcerazione. Sarebbe stata un giorno di gennaio; forse un giorno freddo, però tanto desiderato dopo anni di detenzione (non la prima), questa volta passata in modo dignitoso, conclusa addirittura con un lavoro stabile tra le mura e la concessione di permessi premio, pochi e finalizzati a capire cosa c’era fuori. E fuori ci sono poche cose. La voglia di fare però è viva, perché ormai l’età non permette (anche da un punto di vista etico verso la famiglia lontana) di essere ancora fuori da ogni regola.

Il fine pena, dopo un permesso prossimo al Natale, è ormai vicino. Durante i permessi abbiamo vissuto insieme esperienze semplici ma potenti: una presentazione di un progetto alla sede di Enaip, qualche pranzo insieme, la conoscenza di un’amica, i contatti con la famiglia in Tunisia, l’organizzazione della gestione degli ultimi soldi dello stipendio percepito in carcere.

A gennaio la libertà coincide con l’accompagnamento a bordo di un’”auto blu” verso il CPR (Centro permanenza per i rimpatri) di via Corelli. Era una delle possibilità: essere accompagnato da libero e quindi non essere libero e ritrovarsi in un posto “peggio del carcere”. Ci si sente; Kamal racconta della fatica, ma anche della sua buona tempra che gli permette di restare vigile e attento a non mettersi nei guai e a non cedere agli psicofarmaci come ultimo rifugio per far passare il tempo e non pensare. Il giudice conferma la necessità del suo trattenimento al centro, saranno circa 75 giorni e ci conferma che non ci sarà nessun rientro o accompagnamento a casa sua. Questo pensiero di “tornare” l’abbiamo nominato più volte nei permessi e anche in qualche messaggio: liberarsi finalmente e tornare agli affetti sicuri. Ma per Kamal questo non è possibile, non si può mettere in conto: vuole riprovarci, sapendo che anche questa volta sarà difficile, ma lui vuole provare. E così passa una rissa potente al centro ma lui “è da un’altra parte”, passano i giorni in cui potrebbe andare meglio, passano i giorni senza l’arrivo degli ultimi stipendi del carcere che girano strade diverse da quelle che abbiamo cercato di definire, passano incontri con qualche operatore.

Poi c’è la possibilità di andarlo a trovare: è lunedì pomeriggio, la richiesta accolta e stampata, il navigatore con il punto rosso su quel posto un po’ al limite della città. Ma quando arriviamo Kamal risulta trasferito. Un’ora prima di un colloquio con crismi e caratteristiche forse più ristrette di quelle del carcere, Kamal è stato di nuovo accompagnato via, questa volta a Trapani. È una porta girevole senza indicazioni di uscita quella che è iniziata a metà gennaio, e a marzo non è ancora terminata; un giro lentissimo che si apre ogni volta su una nuova strettoia, e indicazioni non ci sono. Da Trapani arrivano poche notizie: ogni centro ha regole proprie sulla possibilità di attivare contatti con l’esterno e da lì pare non arrivi alcuna notizia. Ma, quasi inaspettata, in un pomeriggio di venerdì arriva la LIBERTA’, senza una direzione e con un’indicazione evasiva anche questa volta.

Non è certo semplice lasciare Trapani in un venerdì dopo pranzo e cercare di ritornare in fretta nel luogo da cui comunque gli viene raccomandato/imposto di allontanarsi. Sabato sera, con un importante quantità di stanchezza Kamal fa sosta al nostro dormitorio a Sant’Anna con l’accordo di lasciare il posto letto entro i giorni segnati sull’avviso di uscita rilasciato dal Ministero (7 giorni).

Ecco che la scritta sulla porta d’uscita ora è chiara: andare, partire, lasciare. Sono serviti 75 giorni per consegnare un foglio che intima a Kamal di lasciare il territorio italiano ed in 75 giorni nessuno è stato in grado di segnalare ed accompagnarlo all’uscita dalla via giusta. Ora tocca a lui seguire le indicazioni. E a scanso di errori lui sta riprovando un’altra uscita: stretta, in salita, tortuosa e senza accompagnamento. La guida è un avvocato che propone di osare una richiesta di protezione, vista l’attuale situazione complicata della terra d’origine di Kamal. Ancora in salita, ancora difficile dopo anni di tentativi di stare in Italia, sognando la positiva riuscita del percorso migratorio.

Siamo ancora in contatto, con Kamal. Con estrema attenzione il posto letto è stato liberato nel termine dei 7 giorni stabiliti. Il resto è la storia di uomini in viaggio, con pochi dati per orientarsi, con continui accessi a occasioni di devianza, con la speranza ancora viva che si potrà telefonare alla famiglia e dire veramente che va tutto bene e che si sta bene.

Siamo un pezzetto di sostegno su strade senza indicazioni e restare dopo la porta d’uscita senza nemmeno un buon consiglio accettabile a volte è quasi disarmante. Come resta disarmante restare in silenzio davanti ad un sistema che non riesce ad offrire nulla se non ingressi a caro prezzo (in tanti sensi) in luoghi di degrado e l’attesa di un foglio di via senza alcuna indicazione… sulla porta d’uscita.

Kamal non è il solo che abbiamo incontrato a metà tra la voglia di riscatto e l’assenza totale di strumenti per farlo. Pare che ora le porte di ingresso possano aumentare e quelle d’uscita diventeranno più strette e impervie. Intanto in quello stare c’è solo disperazione, attesa, desiderio di dimenticare, violenza, paura e ben poca speranza anche solo di rivedere la propria famiglia lontana.

Sabrina Gaiera