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Persone

Seguire un’altra pista – Un’esperienza di pena alternativa presso i servizi di Intrecci

“La coca la sta usando chi è seduto accanto a te ora in treno e l’ha presa per svegliarsi stamattina, l’autista al volante dell’autobus che ti porta a casa, perché vuole fare gli straordinari senza sentire i crampi alla cervicale. Fa uso di coca chi ti e più vicino. Chi la usa è lì con te. Ma se, pensandoci bene, ritieni che nessuna di queste persone possa tirare cocaina, o sei incapace di vedere o stai mentendo. Oppure, semplicemente, la persona che ne fa uso sei tu”.

Questo è solo un frammento dell’incipit dell’ultimo libro di Roberto Saviano Zero Zero Zero. Non si parla certo di farina d’alta qualità o presidi Slow Food, ma bensì di cocaina. Un pugno nello stomaco questo attacco di Saviano al sistema delle nuove dipendenze.

Era uno di noi, forse un insospettabile anche il giovane che, in collaborazione con Caritas Ambrosiana, ha collaborato per qualche mese con i servizi della nostra Cooperativa. Anche lui figlio, fratello, fidanzato, amico, collega di lavoro che per riempire un insormontabile vuoto esistenziale si faceva forza con la cocaina. In questo modo quegli angosciosi blocchi relazionali, quella difficoltà ad accettarsi svanivano, il confronto con gli altri sembrava più tollerabile. Quella polvere bianca (ma sporca di sangue e violenza) sapeva regalare come nessun altro una nuova personalità e per qualche ora al giorno una nuova vita.

Purtroppo però da una piatta normalità il nostro giovane è passato all’altrettanto vuota quotidianità della Casa Circondariale di San Vittore, con la differenza che prima il vuoto era percepito, mentre dietro le sbarre ed i cancelli di un carcere il vuoto è reale. Un periodo duro quello di “appoggiato” nel VI raggio di San Vittore, un carcere concepito architettonicamente secondo i dettami utilitaristici del Panopticon di Jeremy Bentham, ma dal progetto alla realtà c’è decisamente un bel salto. Congestione, sovraffollamento, difficoltà di convivenza, scarsezza igienica e sanitaria, scarso impiego del tempo detentivo sono solo alcune delle esperienze più comuni raccontate dai detenuti. Una realtà detentiva quella del “civico 2” di San Vittore in cui si sperimenta tutta la drammaticità di vivere in attesa di giudizio. Ma anche a San Vittore ci si abitua alla routine quotidiana e si apprende un nuovo gergo: la spesa proveniente dal bettolino, la battitura delle sbarre da parte degli agenti per verificarne l’integrità , il tempo notturno dove il pensiero può castellare evadendo dalla realtà . Per far conoscere questa realtà un gruppo di detenuti si è pure inventato un gioco: il Criminal Mouse (http://libri.terre.it/libri/collana/12/libro/39/Criminal-mouse), il gioco del carcere, una specie di gioco dell’oca che con autoironia fa conoscere la realtà detentiva dalla casella n° 1 “L’arresto” all’ultima “Libertà”.

Dopo qualche mese di reclusione il gioco del carcere è finito anche per il nostro giovane. Si sono così riaperti i cancelli ed il giovane, con una modalità ancora troppo poco diffusa, è stato affidato dal Magistrato di Sorveglianza competente ai servizi sociali penitenziari (UEPE) per avviare un percorso di pena alternativa: ritorno al lavoro, controllo periodico presso i servizi specialistici/riabilitativi ed attività di volontariato. Quale realtà rappresentativa sul territorio l’Area Carcere di Caritas Ambrosiana ha subito pensato alla cooperativa Intrecci ed in breve tempo il giovane ha quindi cominciato a collaborare come volontario con l’equipe di Casa Itaca e con il progetto “Buon Fine” nei servizi logistici ed approvvigionamento viveri. Un servizio di supporto semplice ma che ha permesso al giovane di entrare in contatto con realtà di disagio e riscatto sociale forse mai immaginate prima. Attraverso la consegna del cibo quotidiano, ha potuto sperimentare l’importanza ed il significato dei gesti più quotidiani a partire dal cibo. Il cibo infatti è vita, anche quando magari il gusto ed il significato del mangiare non sono gli stessi del proprio paese d’origine.

Anche questo percorso sperimentato ad Intrecci ha fatto quindi emergere quanto già proposto più volte dal Cardinal Carlo Maria Martini a proposito del tema carcere e giustizia: “Non esistono persone soltanto negative, tutte e sempre malvagie, identificabili nel reato; in ognuna c’è del frumento buono mescolato alla zizzania, come nel campo evangelico; le capacità del bene e del male nella persona umana convivono. L’uomo che sbaglia conserva sempre alcuni diritti-doveri fondamentali. Il reato è sintomo di un disagio profondo, interiore, che produce violenza, ingiustizia, criminalità. All’uomo in errore non deve essere proposta unicamente la sanzione. Va quindi superata la cieca fiducia nella pena retributiva, meccanica, come unica forza capace di migliorare i comportamenti del delinquente [“¦]. Alla base del nuovo modo di concepire la pena e la sua esecuzione dev’essere posta la riconciliazione come proposta di partenza e traguardo d’arrivo del trattamento rieducativo”.

Ci auguriamo che anche il nostro giovane amico abbia sperimentato nei mesi di collaborazione con Intrecci quella fiducia e quella riconciliazione che sole permettono un vero cambio di segno e una nuova pista da seguire.

Danilo Giansanti
Coordinatore “Casa Itaca”, Rho