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Da diversi anni il progetto SAI (servizio di accoglienza e integrazione) “Varese Accogliente” ospita tirocinanti dell’Università dell’Insubria.

Quest’anno è stata con noi Anna, studentessa di Educazione Professionale, che ha deciso di svolgere il suo tirocinio di 150 ore presso il SAI.
Attraverso cinque domande proviamo a raccontare la sua esperienza, breve, ma significativa.

Perchè hai deciso di fare tirocinio in un SAI?

Ho deciso di svolgere il tirocinio in un SAI perché sono sempre stata interessata ai temi inerenti alla migrazione; volevo approfondire questo ambito e acquisire delle conoscenze complete e chiare. Inoltre ero interessata a conoscere il punto di vista degli ospiti di questa tipologia di servizio e le loro storie.

Che aspettative avevi?

Non avendo nessuna esperienza in questa tipologia di servizi non sapevo cosa aspettarmi. Speravo che sarebbe stata un’esperienza arricchente dal punto di vista personale e professionale. Mi piace molto viaggiare e conoscere culture e usanze differenti dalle mie perciò, nel periodo da trascorrere al SAI, ho immaginato che sarei riuscita ad arricchire il mio bagaglio culturale di conoscenza dell’altro e di contesti di provenienza diversi.  

Ci descrivi brevemente il tuo tirocinio?

L’esperienza di tirocinio nel SAI è stata arricchente in primo luogo dal punto di vista professionale perché, grazie ai componenti dell’équipe e all’incontro di formazione, sono venuta a conoscenza di molte informazioni interessanti sul tema della migrazione che non conoscevo, o conoscevo in modo incompleto tramite i social e la televisione.

Dal punto di vista relazionale ho potuto mettere in campo delle competenze acquisite durante le precedenti esperienze di tirocinio e, essendo un ambito completamente nuovo per me, inizialmente ho dovuto calibrare i miei interventi e comprendere come agganciare gli ospiti tramite la relazione educativa.

Mi sono sentita accolta positivamente dai componenti dell’équipe con cui ho creato un buon rapporto.

Ci parli del progetto che hai realizzato?

Il progetto che ho realizzato durante il periodo di tirocinio si chiama “Famiglie del mondo”.

Dopo un periodo di osservazione e di conoscenza degli ospiti della struttura di circa tre settimane ho compreso che due dei loro principali bisogni sono: l’integrazione nella cultura italiana e la conoscenza della lingua italiana; questi due bisogni procedono di pari passo nel percorso di accoglienza.

Tenendo conto di questi bisogni ho pensato ad un progetto che parlasse di come si crea una famiglia in Italia e come si crea nei Paesi di origine degli ospiti.

Durante l’incontro, oltre ai beneficiari, erano presenti quattro componenti dell’équipe, compreso il custode della struttura di origini Somale e di religione musulmana; il suo aiuto è stato fondamentale nella comunicazione con gli ospiti avendo una cultura vicina alla loro e vivendo in Italia da molti anni. É stata prevista la partecipazione dell’intera équipe per stimolare lo scambio di informazioni tra persone appartenenti a culture differenti e per non spingere gli ospiti a pensare che il fine dell’incontro fosse imporgli un pensiero che non gli appartiene.

Facendo un bilancio, che cosa ti “porti a casa” da questa esperienza?

Attraverso questa esperienza ho appreso informazioni legislative riguardanti l’immigrazione molto utili per comprendere e formarmi un’idea su questo tema. Ho appreso diverse competenze relazionali utili nel mio lavoro e nella vita di tutti i giorni, ho accresciuto la mia capacità empatica, intesa come comprensione del vissuto altrui. La cosa più preziosa che porto a casa sono le relazioni che ho potuto costruire con gli ospiti e con i componenti dell’équipe.

A cura di Umberto Calandro

Info: u.calandro@coopintrecci.it