“Punire per educare”. È illusorio, nonché socialmente dannoso, inseguire gli obiettivi ricompresi in questo slogan, oggi tanto di moda nelle carceri.
Uno slogan che è diventato politica attiva e che fa parte di una sottocultura che semplifica i processi culturali, sociali e psicologici, generando stereotipi e pregiudizi propri delle semplificazioni di processi che invece meriterebbero molta più attenzione e analisi.
La società degli adulti deve decidere che fare dei propri ragazzi, a partire da quelli più faticosi, disagiati, riottosi alle regole. Non basta rifugiarsi dietro la punizione carceraria che crea dolore, stigma e fratture sociali insanabili. È la negazione del futuro attraverso l’inflizione di sofferenze nel presente. E i risultati, come prevedibile, sono pessimi.
Da questo approccio e dall’incontro quotidiano con i giovani in carcere nasce la nostra idea di “tirarli giù dalle brande”, proponendo qualcosa che parlasse una lingua compresa da tutti. Non un’attività imposta, calata dall’alto per tappare qualche buco o per far passare il tempo, ma una proposta educativa che li coinvolgesse in prima persona, partendo dalla loro passione e dalla loro voglia di esprimersi. Per questo abbiamo proposto per i detenuti giovani adulti ristretti in carcere a Busto Arsizio, un’educazione sportiva. Usare lo sport e il suo linguaggio universale, in un carcere ad alto sovraffollamento e con un’altissima percentuale di stranieri, può rivelarsi la ricetta vincente per creare dei legami positivi e ridurre le tensioni che inevitabilmente si possono creare in un contesto chiuso e isolato. Parte tutto dalla proposta di un torneo con squadre esterne al carcere e dalla partecipazione a un bando nella speranza di poter rendere un’idea volante qualcosa di stabile. Un torneo che ha avuto successo ma che non bastava perché l’estemporaneità dell’evento non poteva avere un impatto formativo sui detenuti: serviva un progetto continuativo.
Il calcio, e lo sport in generale, richiede una progettualità a lungo termine, fornisce allenamenti funzionali alle partite, partite funzionali ai campionati, campionati che così rompono la monotonia della vita in carcere e sradicano l’assenza di prospettive all’interno delle celle. Non si contano più solo i giorni che mancano per uscire, ma le partite diventano appuntamenti attesi con trepidazione durante l’intera settimana e gli allenamenti sono molto più di una semplice ora d’aria. Da una mail mandata pensando di trovare vuoto dall’altra parte, alla collaborazione con il CSI del territorio, quello di Varese, che ha colto al balzo la proposta e si è messo in campo insieme a noi, condividendone i valori e le prospettive. Trasformare la rabbia in grinta, lo sfogo in passione, trasformare un gruppo di concellini e detenuti in una vera e propria squadra di calcio. La prima regola: sul campo da calcio non vigono le regole della prigione. Lasciare fuori l’aggressività, la necessità di dimostrarsi sempre più forti e lasciare invece spazio alla collaborazione, al saper dare aiuto e chiedere scusa, al sapersi sacrificare per gli altri.
Si gioca una volta ogni due settimane. Le prime partite sono già state disputate e il calendario è pieno fino a giugno. L’entusiasmo delle squadre che entrano è alto, tanto quanto il nostro. Rendersi conto di come il calcio sia un legame che rompe ogni tipo di muro è forte. Da una parte del campo le squadre del CSI Varese, dall’altra il team formato dai detenuti della casa circondariale di Busto Arsizio. Un incontro che non può che fare bene per tutte le realtà che si mettono in gioco. Un allenamento a settimana per i ragazzi di casa che con cuore e grande senso di appartenenza alla squadra si trovano ogni martedì al campo, pronti a mettercela tutta, accantonando per qualche ora l’essere chiusi in carcere e la durezza della realtà che devono affrontare.
Vincere, perdere, pareggiare, la differenza è poca. Quel che conta in campo è sentirsi liberi, sentire di avere una possibilità di esprimersi con il pallone tra i piedi. Segnare un goal, battere un cinque, abbracciarsi con compagni e avversari al termine della partita. Comunque vada ci sarà ancora un’altra partita da giocare, un’altra opportunità.
In conclusione, ci terremmo a ringraziare per la possibilità e la collaborazione tutta la Rete che si è attivata intorno a questo progetto: in primo luogo la Direzione del Carcere di Busto Arsizio e i funzionari giuridico pedagogici dell’Area trattamentale per tutto il lavoro svolto. Il Csi Varese per l’entusiasmo e l’attivazione da subito dimostrate, e un grazie anche a tutte le squadre che si stanno prodigando per poter giocare amichevoli con la nostra squadra. Di cuore grazie a Intrecci che supporta sempre con entusiasmo e sguardi ampi il lavoro di noi educatori. Grazie all’associazione L’altro pallone per il prezioso lavoro che svolge Gianmarco Duina come mister della squadra. E un enorme grazie ai calciatori ristretti che riescono a vivere momenti di sport così preziosi.
Chiara Lamera