Difficile definire cosa sia lavoro sociale: certo è importante lo studio e la preparazione, ma tutto deve essere ricondotto all’azione e all’incontro quotidiano con le persone. Per una giovane tirocinante iscritta al primo anno di Scienze del Servizio Sociale presso l’Università Cattolica di Milano il servizio di Casa Itaca è stato il primo approdo formativo sul campo ed occasione per sperimentarsi in prima persona. Il confronto con una marginalità accompagnata all’autonomia le ha dato nuovi stimoli e motivazioni per costruire il suo percorso professionale. Il tirocinio diventa quindi un modo per «raccontare» il lavoro sociale e la realtà di Casa Itaca: ascoltiamo dalla viva voce di Benedetta il racconto di quest’esperienza.
Ho avuto il piacere di conoscere da vicino la Cooperativa Intrecci grazie all’esperienza di tirocinio che ho svolto presso il servizio Casa Itaca, affiancata dall’assistente sociale. Infatti, ho frequentato il primo anno di università di Scienze del Servizio Sociale, durante il quale è prevista un’esperienza di tirocinio formativo di circa una quarantina di ore che ha lo scopo di aiutare gli studenti a conoscere approfonditamente la realtà di un servizio, stando anche e soprattutto a contatto con l’utenza. E’ stata la mia prima esperienza nel campo del sociale e ne esco molto contenta. E’ stato intenso ed arricchente: mi ha permesso di scontrarmi con una realtà nuova per me, quella dei senza fissa dimora e dei rifugiati, di conoscere diverse figure professionali all’interno dell’équipe e, infine, anche di confrontarmi con me stessa. Tutto ciò ha avuto buoni risultati e l’esito che speravo: desideravo trovare conferme in merito al mio percorso di studi che mi condurrà a svolgere una professione bella ma anche piuttosto delicata, e quest’esperienza mi ha fatto fare un bel passo avanti in questo senso.
Il tirocinio è stato completo, perché ho potuto coniugare l’interazione con gli utenti e l’affiancamento all’assistente sociale nelle sue mansioni più “burocratiche”. E’ stato interessante interagire con gli ospiti di Casa Itaca; ho avuto la possibilità di scambiare due parole un po’ con tutti, ma anche di parlare più approfonditamente con alcuni e quindi di conoscere le loro delicate storie di vita e percepire i loro stati d’animo. Una sera mi sono anche fermata a cenare con gli ospiti ed è stato bello condividere con loro un momento più “informale” come la cena. Devo dire che essi si sono dimostrati sempre cortesi nei miei confronti; tutti accettavano di buon grado la mia presenza anche durante i loro colloqui con gli operatori a cui io assistevo da “osservatrice”. Mi sono sentita accolta sia da loro che dagli operatori, sempre disponibili e attenti a coinvolgermi e a spiegarmi tutto e verso i quali, per questo, nutro profonda gratitudine.
Nella casa si respirava un bel clima; tra operatori e ospiti ho riscontrato un buon rapporto: questi ultimi sono riconoscenti ai primi, consapevoli del loro preoccuparsi e attivarsi per loro, e li considerano come punti di riferimento. Gli ospiti arrivano da contesti differenti, hanno alle spalle storie difficili, ognuna diversa e unica, ma a Casa Itaca possono trovare un approdo sicuro da cui ripartire non più soli. E’ già molto sapere che quando rincasano alla sera troveranno con certezza un ambiente caloroso e confortevole, un pasto caldo e un letto, oltre che altre persone che condividono la loro stessa situazione con cui parlare e confrontarsi e operatori disponibili ad ascoltarli ed aiutarli.
Tuttavia, dalle parole di molti ho percepito trasparire una marcata preoccupazione per il futuro, per quello che sarà quando il loro periodo di permanenza presso Casa Itaca sarà terminato. Devo dire che ho provato un forte senso di ingiustizia nei confronti delle loro vicende, la sofferenza in genere mi fa rabbia, poiché non c’è una risposta al perché essa esista; quindi sono persuasa che non resti che essere umili e disposti ad accettare l’aiuto di altri per rialzarsi e ripartire. E’ questo che si propone Casa Itaca: tendere la mano verso chi non ce la fa a ripartire da solo. E penso che il primo modo di aiutare una persona, in particolare nel mio lavoro futuro di assistente sociale, sia donarle un sorriso e un’accoglienza calorosa, cose che ho constatato all’interno del Centro e che anch’io ho cercato di mettere in pratica, grazie anche alla sensibilità che mi caratterizza. Infatti, un elemento essenziale delle professioni sociali che non deve mai passare in secondo piano, altrimenti si rischia di perdere il senso di tutto, è sicuramente una spiccata umanità .
Da questa esperienza porto a casa molto: è stata sicuramente un’occasione di crescita personale, non solo formativa per i miei studi in senso stretto; del resto, solo l’incontro e il confronto con persone diverse da noi, anche per cultura ed etnia, come i rifugiati, non possono che arricchirci e stimolarci. Infatti, personalmente, ho sempre manifestato una certa curiosità e un certo fascino verso chi è culturalmente diverso da me, consapevole che mi possa insegnare molto. Per questo, in futuro mi piacerebbe lavorare in questo ambito.
Da ultimo, ringrazio la Cooperativa Intrecci, e in particolare l’équipe di Casa Itaca, per avermi permesso di applicarmi e sperimentarmi. Oltre a ricordare come una bella esperienza questo tirocinio, mi impegnerò a custodire i frutti che mi ha dato.
Benedetta Zucchetti