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nadialeonardo“Io sono Nadia. Io Abito con mio marito. Ho un figlio che si chiama Luca e ha 3 anni. Mia mamma abita vicino a me e mio suocero”. Questa una delle tue prime frasi scritte sul quaderno di lingua italiana che dal gennaio 2008 ti ha accompagnato ogni giorno, insieme ad altre donne rom e gagè che con te trascorrevano le mattine in via Bettinetti ed in via Madonna, nel laboratorio di sartorie e stireria. Aprile 2007, ti ho conosciuta che non avevi ancora compiuto 18 anni e avevi già un bel bambino che non voleva staccarsi dalla mamma per andare alla scuola materna. Anche se in maniera riservata e molto timida trasmettevi felicità per quella nuova casa, prefabbricata e provvisoria ma sicuramente più dignitosa della precedente. Si vedeva che speravi in qualcosa di diverso, forse migliore. Con la stessa discrezione hai affrontato la quotidianità del progetto “Romnì” insieme alle altre donne del campo, alle volontarie e alle operatrici e la tua presenza è sempre stata per noi una certezza. Che bella che eri nel giorno della consegna del diploma. Davanti a tante persone e giornalisti ti sei sentita “brava”, parola che ti piaceva – la scrivevi spesso nei tuoi esercizi – ma che forse non ti sei mai cucita bene addosso. Lo sei stata con Luca e con Leonardo, con le compagne di corso e con noi tutti. Spesso “essere bravi” si confonde con il non provar fatica e fragilità ma non è così: tu ci ricordi che vulnerabili lo siamo tutti e che le nostre spalle da sole a volte non sono sufficienti a sopportare il peso che la vita spesso ci riserva. Ti ringrazio per il pezzo di strada condiviso con noi, perché credo ci renda ancora più consapevoli della vita e di quanto sia importante “cucire relazioni”. [MT]