27 Giugno 2018. Una data, un giorno che segna un passaggio, un momento di riflessione profonda anche per noi. Un nuovo modo di accogliere, un modo sicuro e legale che permetta alle persone di arrivare sul territorio italiano senza affrontare il deserto e poi il mare, un modo che mette al centro l’incolumità delle persone. A Fiumicino, alle 4:50 del mattino, sono atterrate 120 persone: donne, uomini, bambini provenienti dall’Etiopia; persone Eritree che hanno vissuto gli ultimi anni della loro vita in un campo profughi e che oggi iniziano una nuova fase della loro vita.
Il progetto è di Caritas Italiana, in collaborazione con le Caritas locali. Nella diocesi di Milano sono arrivate 22 persone; 4 di queste, due coppie di giovani sposi sono state accolte nelle zone pastorali di Varese e Rho, rispettivamente a Oggiona Santo Stefano e Fagnano Olona. Le persone arrivano da un percorso di conoscenza e di scelta che hanno effettuato in Etiopia con gli operatori di Caritas che li hanno accompagnati e supportati nelle fasi pre partenza, dalla conoscenza del progetto in cui sarebbero stati accolti all’affiancamento sull’aereo che li ha portati in Italia.
La mattina del 27 Giugno, noi operatori dei progetti di accoglienza l’abbiamo passata in aeroporto in attesa di accogliere i nostri futuri ospiti nell’area arrivi del terminal 3. Attesa lunga, piena di aspettative, di gioia, di paura per una cosa nuova per tutti e anche di consapevolezza, la consapevolezza di chi sa di cominciare un progetto tutto nuovo e quindi difficile, ma con la certezza di stare dalla parte giusta, di stare dalla parte delle persone. Sono quasi le 14 quando iniziamo a scorgere le persone in uscita dalle porte, facce stanche, sfinite, ma tanti sorrisi (e tanti, tantissimi bagagli…).
Ci dividiamo e ogni diocesi raggruppa i suoi ospiti, salutiamo i colleghi e ci dirigiamo verso il pullman; breve pausa pranzo e via: direzione Milano.
Durante il viaggio si chiacchiera un po’, si cerca di conoscersi l’un l’altro, non è semplicissimo per via della lingua, ma come sempre, quando si ha voglia davvero di conoscersi e di incontrarsi, un modo si trova.
Kiros, Winta, Jhon e Fikrte sono talmente stanchi che dormono praticamente tutto il viaggio, ma ogni volta che incrocio il loro sguardo non mi negano mai un sorriso e un cenno col capo che mi dice che sì, sono felici di essere qui.
In tarda serata arriviamo a Lampugnano, ad attenderci ci sono i volontari delle due Parrocchie che li ospiteranno; sembra niente, ma il solo fatto che siano lì crea da subito legami. Legami che saranno la base di questo progetto.
Ripartiamo quindi in macchina e arriviamo a casa. I ragazzi sono in giro ormai da 48 ore e sono talmente abituati ad essere spostati di qui e di là che la prima cosa che ci chiedono è: “Possiamo disfare le valigie? O stiamo qui solo qualche giorno?” finalmente possiamo rispondere loro che sono arrivati a CASA. Quella che per un anno sarà la loro casa, dove potranno riprendere in mano le loro vite e ricominciare.
Sono passate tre settimane dall’arrivo. Tanto tempo l’abbiamo passato a sbrigare pratiche burocratiche varie, ma questo ci ha dato la possibilità di stare molto insieme e di cominciare a conoscerci. Al nostro primo colloquio una delle cose dette che mi ha lasciato più il segno è stato “alla fine di questo progetto sarete fieri di noi”. Mi viene da dire che siamo già fieri di loro, siamo già orgogliosi di prendere parte ad un progetto così bello ed ambizioso, siamo orgogliosi di accogliere persone che hanno avuto il coraggio di rimettersi in gioco.
Abbiamo iniziato i corsi di italiano con i volontari, organizzato momenti di condivisione e di socialità e piano piano ci stiamo conoscendo, perché la conoscenza è la base necessaria per camminare lungo la strada migliore per tutti: l’integrazione.
E oggi i ragazzi ci hanno lanciato una scommessa: entro un mese parleranno italiano. Avendo potuto vedere quanto sanno mettersi in gioco, non dubito che vinceranno loro!
Federica Di Donato