Sono un’insegnante che è stata ospite per 40 ore a Casa Elim. Ho condotto un percorso di alfabetizzazione promosso dal Centro per l’Istruzione deli Adulti (CPIA) di Legnano e sostenuto dal Fondo Asilo Migrazione Integrazione (FAMI), un dispositivo di finanziamento europeo che persegue fra le altre cose il sostegno ad una “politica comune dell’immigrazione” a partire dal rispetto della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Cos’è stato il corso FAMI per me?
Dodici paia di occhi che mi guardavano, che io pensavo di studiare e che nel frattempo hanno catalogato me: adolescenti sfuggenti, silenziosi, fragili, arrabbiati, insofferenti e giovani.
La mia borsa difficile da riempire, perché scegliere cosa portare e cosa lasciare ha implicato una decisione che solo al termine di ogni lezione ho saputo se era quella giusta: una buona riuscita o un mancato successo che è dipeso anche, e spesso, dai materiali che ho saputo proporre.
Io che ho fatto i conti col mio essere stata adolescente, in un passato che ho dimenticato ma che ho dovuto recuperare per poter entrare in contatto col presente delle lezioni, nel tentativo di leggere il non detto, senza la presunzione di capire fino in fondo, solo per provare a entrare in sintonia.
Il tempo, che è stato occasione di memorie a confronto e che era anche lo spazio fisico abitato da pensieri che dovevano circolare, insieme di momenti e di esperienze, di “non mi interessa”, “posso andare via”, “mi spieghi?”, “oggi sono stato bene”…
Le lezioni abitate: i ragazzi che andavano e venivano perché stare è una condizione che si può imporre, ma assume un valore aggiunto se è una libera scelta; i contenuti che si sono dilatati fino a includere l’improbabile che è passato attraverso gli esperimenti culinari e i saperi trasversali.
Gli educatori, presenze discrete che mi hanno lasciato uno spazio importante di azione; un “a parte” da chiamare in situazioni che non ho avuto gli strumenti per gestire. La misura del mio limite personale che mi ha ricordato quanta strada ancora ho da fare in una professione che è insieme un mestiere e un’arte.
E poi… le risate, i biscotti, la rabbia, i prodotti che a volte sono andati oltre l’atteso, i capricci, la soddisfazione nell’essere riuscita ad ottenere risultati, gli odori che raccontano di noi e delle nostre abitudini.
Al termine di questa esperienza porto con me la voglia di fare, di provarmi ancora in esperienze che permettano di vivere la scuola oltre i confini stretti dell’aula scolastica e la consapevolezza che occorre una revisione dell’essere insegnante oggi, sia in termini di responsabilità nella scelta dei contenuti da proporre che nel proprio viversi come professionista attivo e coerente.
Milena Mor