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Dopo aver raccontato dell’esperienza di accoglienza in collaborazione con Sercop, ci è piaciuto sentire anche la voce di chi fa lo stesso lavoro, in un territorio diverso, con partner diversi, ma sempre con la stessa mission, ovvero accogliere chi, in fuga dalla guerra alle porte d’Europa, bussa da noi portando con sé vita, storie, sogni, paure, ricordi, ansie e voglia di futuro.

Il “progetto accoglienza ucraini Varese” spazia in diversi comuni del varesotto – Busto Arsizio, Mornago, Gavirate, Comerio e Barasso – e gestisce 10 appartamenti per altrettante famiglie, con un totale di 30 ospiti ed è coordinato da Monica Marchetto a cui abbiamo chiesto di raccontarci l’esperienza in corso.

Come è nato e come si sta sviluppando questo progetto di accoglienza?

Il nostro progetto nasce dalla volontà del Dipartimento nazionale della Protezione civile di dare una struttura meno emergenziale alle prime accoglienze avvenute in alberghi o nelle famiglie e protrattesi oltre le iniziali aspettative. È a livello nazionale che avviene quindi un accordo tra Protezione civile e Caritas, individuata come partner in grado di rispondere ai bisogni di maggior strutturazione e professionalità delle accoglienze. Caritas inizia quindi una ricerca sui territori individuando appartamenti di Comuni, parrocchie e privati disposti a donare i propri spazi al nascente progetto, cerca infine le disponibilità delle cooperative dei propri consorzi.

Il nostro progetto nasce come idea a maggio e procede in stretta collaborazione con Caritas Ambrosiana sia nella sua veste istituzionale che in quella territoriale, col supporto pratico di molti volontari. I primi ingressi sono avvenuti alla fine di agosto e quasi tutti entro la metà di settembre.

Chi sono le persone che accogliamo? Trovi differenze con le precedenti esperienze di accoglienza?

Prevalentemente accogliamo mamme con figli adulti o minorenni, due famiglie con anche il papà, e una coppia di over 60.

Ciò che rende particolare l’esperienza coi profughi ucraini è la vicinanza territoriale e culturale, è la presenza del loro dramma anche nelle nostre vite quotidiane: interesse mediatico, crisi economica, vite spezzate o strappate esattamente come potrebbero essere le nostre. Con loro è più immediato comprendere il punto di vista e sostenere non solo il profugo e i suoi bisogni primari, ma l’essere umano, col suo bisogno di ascolto, di calore, di legami, di bellezza. È evidente come il progetto migratorio non dipenda solo da un uomo o da una donna, che vogliono venire in Italia, ma è un complesso e inesplicabile dramma internazionale nel quale ogni essere umano si trova a cercare strategie per ridare sicurezza, dignità e speranza alla propria vita.

La somiglianza culturale rende molto più snello il percorso di costruzione di un terreno di reciproca comprensione e di comprensione dei contesti, base di ogni accoglienza che desideri essere feconda di possibilità.

Ci sono invece delle caratteristiche comuni?

Nella sostanza, il dramma di chi lascia il proprio paese e la vita sognata, è lo stesso; così come la forza di continuare, l’attaccamento ostinato alla vita e alle sue possibilità di riscatto. Forse, a volte, quando accogliamo profughi di altre culture a noi più lontane, il dolore ci sembra meno dolore; per certi versi abbiamo fatto l’abitudine alle privazioni da cui provengono e alla mancanza di prospettive di vita dignitosa e così ci sembra scontato e normale dare “il meglio di niente”, quando invece tutti amano bellezza, cura, intimo riconoscimento della propria dignità.

L’inserimento nei tessuti del territorio come sta avvenendo? Chi sono gli attori e come collaborano tra di loro?

Il buon punto di partenza di questo progetto sta nell’essere nato dalle disponibilità dei territori, che hanno offerto gli appartamenti non solo con senso civico, ma con il cuore: tutte le case sono state consegnate in ottime condizioni, molte completamente arredate e curate, capaci di dare un benvenuto carico di rispetto e di comprensione. Dovunque le Caritas territoriali sono il nostro primo partner, riferimento per i bisogni primari ma anche per iniziare a creare colleganze con le realtà locali. I proprietari di casa sono riferimenti preziosi, non solo per le questioni abitative ma come fonti di affetto, interesse e conoscenza del luogo. Alcune sezioni di Protezione civile, Gavirate e Busto in primis, le associazioni sportive, i gruppi parrocchiali, i cori della chiesa, le scuole di italiano. Alcune realtà scolastiche particolarmente attente. Quando lavoriamo coi territori, gli intenti sono molteplici: creare occasioni di incontro, perché i legami scaldano il cuore di tutti, perché nell’essere parte ci si sente più vivi; creare occasioni per esercitare passioni e capacità, per esprimere gratitudine verso chi accoglie; creare contatti e corresponsabilità, perché più siamo più si amplificano le possibilità di ognuno; creare occasioni per esercitare la lingua italiana. Cerchiamo collegamenti fra connazionali e nelle attività di sostegno alla popolazione in Ucraina, occasioni per riallacciare i ponti con la propria patria, per parlare la propria lingua, per sentirsi utili anche se lontani.

Una storia un volto un racconto, qualcosa che ci vuoi raccontare di questi primi mesi di accoglienza

Questa è la domanda più difficile perché sono tanti i volti e i racconti suggestivi ed è difficile scegliere tra di loro. Allora metto in luce una suggestione che attraversa tanti volti e tante storie: in un contesto lavorativo complesso, faticoso, un percorso a ostacoli che prende il suo avvio da un dramma umanitario, l’immagine più ricorrente è sorprendentemente quella del sorriso, dei volti che si spalancano ancor più delle porte di casa; è strano ma ci sentiamo accolti da chi accogliamo, ci sentiamo benvenuti in un “non luogo” che non è più di pareti e geografia, un “non luogo” di carne e sentimenti, il luogo forse magico dove “essere umani” diviene possibile, dove la speranza può restare accesa. Forse guardando nelle piccole cose, l’utopia di un mondo diverso non è poi così lontana.

Intervista a cura di Federica Di Donato

Info: a.agradi@coopintrecci.it