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Questa è la storia di una persona che abbiamo avuto la fortuna di incontrare e di veder compiere un percorso di cambiamento. L’abbiamo conosciuto in carcere, lo abbiamo ospitato durante i permessi premio e la misura alternativa alla detenzione, lo abbiamo affiancato, accolto, incoraggiato. Poi lo abbiamo visto rinascere e iniziare una nuova vita. Questa è la storia di una persona che non si chiama Hassan, ma abbiamo deciso di utilizzare questo nome di fantasia perché in arabo significa “colui che migliora”. E anche se non si chiama davvero così, gli auguriamo di poter migliorare sempre, e di realizzare il suo sogno di una vita normale.

Hassan ha una data di nascita inequivocabile: 1-1 (si legge uno-uno) del 1983. Ha anche un luogo di nascita che non coincide con il paese dove è cresciuto: è nato in Sierra Leone ma è cresciuto in un campo dell’UNHCR (l’alto commissariato ONU per i rifugiati) in Gambia. Ha un curriculum vuoto di esperienze lavorative regolari ma modellato da esperienze detentive tra Milano e provincia, e un “lavoro” nel commercio di sostanze stupefacenti che lo vedeva forse esperto e affidabile, ma certo con nessuna possibilità di vanto ed orgoglio (anche se alcuni passaggi dei suoi racconti nei palazzi della Milano-bene li abbiamo ascoltati con stupore e con qualche risata o domanda di troppo).

Il periodo milanese, fatto di reati sempre uguali, gli ha permesso di mantenere la famiglia lontana (ovviamente ignara dell’origine dei soldi che mensilmente arrivavano in Gambia) e di girare e conoscere la metropoli; gli ha anche permesso l’acquisizione di una buona parlantina nella nostra lingua e gli ha lasciato in eredità il soprannome di Ciro, certo più adatto a chi vuole stare in Italia, ma sicuramente in contrasto con la sua pelle, nera come la pece.

Ci capita di conoscerlo a pochi anni dalla fine della pena, con un’età non più da giovincello (anche se il suo volto non è segnato da una ruga, nemmeno piccola!), con una borsa piena di nulla e forse anche poca speranza. È l’ultimo giro di valzer in carcere, poi ci sarà di nuovo la strada, la vendita, la ricerca dei vecchi clienti, le corse per allontanarsi dalla polizia e così via.

Ma poi succede qualcosa e c’è un cambio di marcia: nel periodo prossimo alla pandemia il personale educativo del carcere osa la proposta, che sarà il primo elemento di svolta, dell’assunzione nella ditta che nella casa circondariale produce cioccolato. Un lavoro regolare per chi è sempre vissuto da irregolare, visto che la sua prima richiesta di asilo politico è rimasta pendente in questura a causa del primo arresto, proprio nel giorno del primo appuntamento per iniziare il lungo e faticoso iter della richiesta di protezione internazionale… Giusto il tempo di consegnare l’unico documento “buono” che aveva in tasca, tra deserto e Mediterraneo: il documento rilasciato dal campo UNHCR in Gambia, il solo pezzo di carta con una data e un nome e cognome… Poi tutto si frizza e del documento dopo più di 10 anni non ci sarà più traccia.

Il lavoro in cioccolateria dà ritmo alle giornate e svela a Ciro la bellezza delle sue capacità: abile al lavoro, preciso e puntuale, ma anche abile nella gestione del gruppo, nel limare i contrasti, nel rendersi a volte giullare per sdrammatizzare situazioni un po’ tese. Tra lui e il proprietario dell’impresa nasce un rapporto stabile, di stima e fiducia reciproca e questo alimenta la bontà del percorso detentivo fatto di proposte sempre accolte da Hassan che non conosce il diniego ad alcuna richiesta.

Noi lo incontriamo per progettare l’accesso ai permessi premio. I primi colloqui sono vaghi da parte nostra, diamo una disponibilità che man mano si dilata nel tempo e cerchiamo un appiglio piccolo per dare un senso alle ore d’aria possibili alla parrocchia di Sant’Anna (per Ciro 8 ore “fuori” hanno di per sé senso, ma noi siamo operatori sociali e il senso lo pretendiamo sempre, a torto o a ragione). Alla fine ci siamo: accesso ai permessi premio e documento agli educatori per spiegare le ragioni della non espulsione di Ciro nel Paese che non ha conosciuto: la Sierra Leone.

Gli astri sono improvvisamente allineati: all’accesso ai permessi premio si sommano l’espulsione evitata con assenso del magistrato di sorveglianza, l’organizzazione di attività durante l‘aria fuori dall’Istituto, un evento di giustizia riparativa, la partecipazione ad un progetto di lavori di pubblica utilità presso la biblioteca del Comune di Busto Arsizio, la visita al MA*GA per la mostra di Andy Warhol e anche nuove amicizie; una buona capacità di adattamento alle regole dei permessi premio, un contatto più stabile con la famiglia e la casa ricostruita per il papà che finalmente può lasciare il campo profughi in Gambia (i tempi africani sorprendono, forse…).

Il fine pena è prossimo, l’avvocato insiste, Hassan guarda con timore quelli che restano lì e magari all’ultimo giorno vengono trasferiti in un CPR per verificare identità e ipotizzare rimpatri forzati. Il 5 agosto 2023, quando tutto è pronto per le ferie, Ciro è in affidamento alla Domus Madre Teresa al Sant’Anna. La porta della galera non si aprirà più alla sera, al rientro dai permessi: è definitivamente chiusa alle spalle. Don David ci guarda e dice che questa volta abbiamo osato troppo, ma noi avremo tempo per progettare gli ultimi due mesi di misura al nostro rientro. E da quel momento, dal primo settembre, tutto scorre veloce: prima un tirocinio in un ristorante prossimo alla Domus, poi la sistemazione con l’avvocato delle pratiche per avere tutto il dovuto dall’impresa del cioccolato (senza documenti nulla è semplice o scontato). Prendiamo contatto con la questura e definiamo anche l’ultima fatica: il 13 ottobre i carabinieri prenderanno Ciro e lo porteranno in questura, poi si vedrà se ritorna o verrà rispedito per direttissima in qualche struttura per un rimpatrio.

Nel frattempo noi abbiamo parlato di lui in ogni luogo, abbiamo dato a Ciro tutte le relazioni possibili e gli encomi e altro ancora. Abbiamo evitato di essere alle 7 del mattino in Domus quando sarebbero arrivati i carabinieri, ma nei giorni prima abbiamo valutato tutte le possibilità e trasferito coraggio a chi forse non ne aveva bisogno e riconosceva con gratitudine il nostro affetto e la nostra presenza. Ecco però che quel giorno di ottobre la storia si fa bellezza: Don David indossa l’abito talare e verso mezzogiorno Ciro è a Sant’Anna con la data dell’appuntamento per la Commissione Territoriale, per chiedere asilo politico. Dopo 20 anni in Italia, ORA È FINALMENTE VISIBILE.

Oggi Ciro ha fatto tutti i passaggi dovuti dal momento della richiesta di protezione. Ha ottenuto un permesso di soggiorno per protezione speciale. Lavora in un ristorante, progetta di fare la patente, avere una casa o almeno un posto letto e sogna un matrimonio e qualche figlio.

Don David ci guarda sempre con stupore per averlo coinvolto in una vicenda rocambolesca con un lieto fine, frutto di tante buone azioni di ciascuno di noi.

Non capita spesso di essere orgogliosi di tanto lavoro fatto, ma questa volta dobbiamo provare a regalarci un “siamo stati bravi” e una pacca sulle spalle a vicenda.

Dalla periferia di Busto Arsizio, una vicenda che paga tutte le nostre fatiche e delusioni.

Siamo tutti più VISIBILI.

Sabrina Gaiera