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La nostra collega Annalisa vive in una comunità di famiglie. Qui, in pochi tratti, descrive la loro esperienza di accoglienza di due famiglie ucraine fuggite dalla guerra.

“Avete spazio per ospitare sette persone in fuga dall’Ucraina e in arrivo in Italia in pochi giorni?”

La richiesta di una donna ucraina lavoratrice sul nostro territorio da anni, ci coglie alla sprovvista…E’ il 26 febbraio e la guerra si è concretizzata da appena due giorni…

Riordiniamo i pensieri: effettivamente, dove abito, i due alloggi dedicati a progetti di accoglienza sono liberi…ma di solito collaboriamo con enti/cooperative con procedura e modalità di accoglienza ben strutturate…

Questa richiesta di aiuto improvvisa fa saltare tutto…ma diciamo subito di sì, senza pensare a nulla…Perché? Perché sì! Credo che la sofferenza legata alla guerra vicina, coinvolgente in quanto portata nelle nostre case da donne che vivono con noi ogni giorno, ci smuova dentro un po’ di sana incoscienza che ci fa osare senza troppa razionalità!

Il giorno dopo abbiamo dato conferma della nostra disponibilità e ci siamo messi subito al lavoro per allestire velocemente gli alloggi e organizzare una buona ospitalità. Martedì 1 marzo sono arrivati due nuclei familiari, un papà con due figli e una coppia con altri due figli, parenti tra loro. Una mamma e una nonna sono in Italia da tempo e lavorano regolarmente: la prima sensazione bella che trasmettono arriva dalla loro riunione familiare dopo anni e a conclusione di una fuga con viaggio lunghissimo…

Si sistemano e si riposano…

Sono con noi da quasi un mese…Certo il contesto in cui vivo è ricco di famiglie e persone che si accolgono reciprocamente ogni giorno, per cui questi nostri ospiti hanno ricevuto visite, vicinanza, saluti e sorrisi da parte di tutti…i bambini e i ragazzi per primi hanno cercato di conoscersi e cercarsi. La cosa più bella e sorprendente è che spontaneamente ricambiano ogni attenzione ricevuta e proprio loro si attivano per restituire ciò che stanno ricevendo! Si mettono a disposizione per ogni necessità della nostra piccola comunità e stanno aiutando con lavori.

Man mano che ci conosciamo scopriamo un atteggiamento riservato e poco incline alla richiesta di aiuto. È difficile per loro ritrovarsi improvvisamente in questa situazione e dover chiedere agli altri per ogni cosa e soprattutto fidarsi di sconosciuti che danno indicazioni sull’esito della loro fuga. Registrazioni, esigenza di documenti, screening sanitario: un mondo di trafile difficile da comprendere e accettare, paura di restare bloccati in Italia e desiderio di ritorno alla propria casa.

“Noi siamo scappati perché non vogliamo uccidere nessuno” questo ripetono gli uomini…e questo ci deve far pensare a tutte le guerre, vicine e lontane, e a tutte le persone in sofferenza e in fuga: questo ci deve interrogare su quanto siamo disposti a condividere con gli altri, attenzione, tempo, azioni…

Noi viviamo accanto a loro, famiglie tra famiglie e la solidarietà che stiamo sperimentando nei loro confronti e che si è attivata intorno a loro ci piacerebbe diventi lo stile con cui rapportarci sempre agli altri: uno scambio di vissuti reciproco che arricchisce le nostre vite e quelle dei nostri figli.

Non sappiamo quali percorsi si apriranno e quali strade decideranno di intraprendere…ma credo che questa sana incoscienza che ha fatto aprire le porte di tante case ci farà bene!

Annalisa