Skip to main content

Il prossimo 20 giugno si celebra la Giornata Mondiale del Rifugiato e come ogni anno, noi operatori ci siamo ritagliati un momento di brainstorming per ragionare sul tipo di contributo da apportare per quella data.

Inizialmente tutte le idee presenti sul tavolo del confronto sembravano non convincerci del tutto. Costruivamo bene la confezione del progetto ma non capivamo poi cosa metterci dentro: cosa vogliamo dire davvero? Cosa ci preme dire, il 20 giugno per la Giornata del Rifugiato?

Abbiamo realizzato presto che qualunque fosse stata la scelta finale, voleva essere fortemente orientata alla partecipazione di tutte quelle persone che quella giornata la vivono sulla loro pelle e che ancora prima di noi operatori, in prima persona l’accoglienza la creano, la riempiono di significato: i nostri ospiti.

Quest’anno, alla pianificazione di Intrecci, ho provato a dare un contributo anche io.

Sono arrivata a dicembre in cooperativa e con me ho portato un paio di passioni: il teatro e la scrittura che, come ho potuto piacevolmente constatare, sono state fortunatamente utilizzate a favore di questo tipo di progetti.

Ho suggerito alcune proposte riguardanti un laboratorio teatrale; perché credo all’idea che l’arte contribuisca sempre (in quel modo curioso e silente che conosce solo lei), a tirare fuori il meglio di noi, a svincolarci da tanti obblighi faticosi ai quali quotidianamente rispondiamo e ad esprimerci, dire qualcosa, raccontarci.

Non è cosa facile raccontare di sé, specialmente quando si hanno vissuti importanti e pesanti. Però nello spazio scenico capita di interpretare quel personaggio di fantasia che magari le cose, ci aiuta a tirarle fuori.

Ho pensato dunque alla possibilità di unire il fantastico al reale: creiamo sì, un personaggio inventato che si muove nello spazio in modo bizzarro e lo uniamo allo studio pratico di costruzione delle maschere che poi andremo ad indossare, dando un volto e una concretezza finale a quel personaggio.

Il “Laboratorio teatrale delle maschere” promosso da Intrecci (dopo una prima edizione tenutasi presso Palazzo Granaio di Settimo Milanese), torna da marzo sul territorio di Rho presso gli spazi gentilmente concessi dall’Oratorio S. Carlo e successivamente coinvolgerà anche i territori di Varese e Caronno Pertusella (aprile e maggio).

Lo facciamo perché?

Perché crediamo all’idea di poter restituire a tutti coloro che vi partecipano, un momento di socializzazione, di divertimento e di libera creazione, nell’intenso tentativo di poter disinnescare attraverso il teatro, quegli automatismi che contribuiscono alle molteplici forme di discriminazione quotidiana.

Qualche giorno fa Hamza (un ragazzo pakistano, beneficiario sul territorio di Settimo Milanese) mi ha ringraziato, così all’improvviso, mentre incollava dei bottoni sulla sua maschera che ha chiamato “Black Mamba”.

La creazione di queste maschere sarà oltretutto finalizzata anche all’esposizione a maggio presso il Centro Salesiano di Arese, inerente alla settimana artistica: “Civil Week”).

Diventa così semplice comprendere come in qualche modo, in questi luoghi sperimentali nasca una naturale voglia di partecipazione e di condivisione col prossimo; come questi luoghi producano “meccanismi di riconoscimento nel prossimo”, di somiglianza, di appartenenza.

Il laboratorio teatrale delle maschere punta al superamento di quegli ostacoli, spesso invisibili per abitudine “culturale”, che nel quotidiano sottolineano la discriminazione delle persone migranti che pare debbano essere fortemente impegnate solo e soltanto nella ricerca incessante di un’occupazione lavorativa e nel conseguimento di un titolo linguistico che li abiliti nella società.

Tappe necessarie e sacrosante, che desideriamo vengano però anche accompagnate da attività artistiche e d’integrazione di questo tipo, per contrastare emozioni negative come l’apatia e la solitudine che spesso   impediscono il raggiungimento di una piena autonomia e di un appagamento personale.

Ed è attraverso tutte queste considerazioni, che accettiamo con timida curiosità di trascorrere un paio d’ore a passarci una “palla immaginaria” di mano in mano, a stare in equilibrio su una “zattera che non c’è” e provare a dirci tante cose, senza usare alcuna parola.

Il teatro è un luogo sacro, dove lo scorrere ordinario del tempo sembra scomparire, dove torniamo ad essere bambini e dove tutto può accadere, perfino qualcosa di bello.

Debora Campanile

Info: m.minessi@coopintrecci.it