Ho chiesto ad Agnese di raccontarmi il suo punto di vista sul Servizio civile universale, partendo dalle origini, mettendoci dentro le cose imparate, le emozioni, le sfide e le difficoltà. Volevo vedere il servizio attraverso i suoi occhi. Ciò che è emerso mi ha fatto riflettere su quanto possa essere ricco il SCU: per il volontario, ma anche per chi gli ruota intorno.
Agnese, sei stata volontaria del Servizio civile universale nel progetto SAI (Servizio accoglienza e integrazione) “Famiglie al centro” di Caronno Pertusella, gestito da Caritas Ambrosiana: come ci sei approdata?
Esattamente un anno fa decisi di fare domanda per il Servizio civile universale. Mi ero laureata da poco e ricordo che stavo vivendo quella fase di sconforto che nel mese di febbraio 2021 accomunava tutti gli italiani, soprattutto giovani come me che erano alla ricerca di una prima occupazione. Mi addentrai nel bando e, dopo un’attenta analisi dei progetti, fui colpita da quello promosso dal SAI di Caronno Pertusella perché dava molta importanza ai temi dell’inclusione, dell’autonomia e dell’integrazione, concetti che mi hanno ispirata negli ultimi anni sia di vita che dell’università. Decisi di presentare domanda, con l’idea di non essere presa, viste le richieste presentate. Poi arrivò il mese di maggio e mi venne comunicato che invece avrei iniziato il servizio.
Emozioni e servizio: cosa fa una volontaria del SCU in un progetto SAI?
Ricordo il giorno in cui iniziai: ero molto agitata e spaventata, come ogni volta che devo vivere qualcosa di nuovo, ma sentivo che questa volta sarebbe stato diverso perché finalmente potevo toccare con mano una realtà che avevo studiato solo nei libri. L’accoglienza al centro è stata da subito magnifica e mi sono sentita sempre a mio agio, mai fuori posto all’interno di un’equipe che cerca, ogni giorno, di fare il proprio lavoro mettendo amore e impegno in ogni piccola cosa (a volte con qualche “dovuto” rimprovero). La prima fase del mio percorso è stata dedicata ad uno studio dettagliato dei temi fondamentali legati al sistema di accoglienza, nozioni che sono necessarie per poter svolgere un lavoro ben strutturato e duraturo nel tempo. Poi, piano piano, ho iniziato a conoscere i beneficiari, cercando di instaurare un legame di fiducia e di rispetto reciproco. Passata la fase di assestamento, ho iniziato a svolgere lezioni di italiano, soprattutto per i nuovi arrivati, cercando di far capire loro l’importanza della lingua italiana, requisito fondamentale richiesto dal centro e dalla società stessa in cui vivono. Nel periodo estivo abbiamo creato dei piccoli laboratori artistici per i bambini presenti, cercando di utilizzare materiali da riciclo o ingredienti da cucina (come acqua, farina e fagioli) per creare dei piccoli oggetti. Questo è stato fatto sia per non lasciare indietro i più piccoli del centro, sia per riempire le loro giornate nei mesi estivi, quando le attività scolastiche ed extra-scolastiche sono risicate. Ho imparato a inserire i dati dei beneficiari nella banca dati del servizio centrale, analizzato progetti individuali e prese in carico, assistito a colloqui di ingresso presso il Comune di Caronno Pertusella, alla presenza anche delle assistenti sociali che lavorano sul progetto, e a colloqui di preparazione in vista della Commissione Territoriale (organo competente a decidere sulle richieste di protezione internazionale), insieme all’operatrice legale. Ci sono stati giorni in cui ho aiutato gli ospiti con i documenti, con il green pass, con la pulizia della casa e con la spesa settimanale, sempre nell’ottica di renderli autonomi. Ogni giorno, insieme all’équipe, cercavo di organizzare nel dettaglio le attività, ma spesso emergevano imprevisti e bisognava riadattarsi in maniera veloce al cambiamento.
Cosa pensi di esserti portata a casa dalla tua esperienza di civilista nel SAI?
In questi mesi ho svolto davvero tante attività e imparato cose nuove che porterò sempre con me; ho conosciuto lati del mio carattere che non sapevo di avere; ho capito che, di fronte alle difficoltà, va mantenuta la calma e che sbagliare è umano. Ad oggi posso sicuramente dire che tutte le mie aspettative iniziali sono state ampiamente raggiunte ma soprattutto ho capito che bisogna mettersi in gioco senza aver paura di non sentirsi all’altezza. In questo mondo, in evoluzione continua, bisogna avere braccia forti e cuore grande (e tanta pazienza!) per riuscire ad inserire al meglio ogni individuo all’interno della collettività, rendendolo autonomo e pronto a superare le sfide future. Penso che ci si debba buttare in questo percorso, la mia vita è davvero cambiata, pensavo fosse solo un modo di dire!
A cura di Elena Pastorino
Info: caronno@coopintrecci.it