Lo sportello di ascolto di Rho ha provato a uscire un po’ dal suo ruolo istituzionale per fare una chiacchierata con una mamma di un preadolescente e raccogliere da lei qualche spunto di riflessione e idea. La mamma in questione è Rosa Aiello, rappresentante di classe e presidente del Comitato Genitori della scuola secondaria di via Tevere dell’Istituto comprensivo Franceschini di Rho, donna effervescente, proattiva e madre di tre ragazzi, di cui il più piccolo di 14 anni.
La signora si presenta raccontandoci del suo lungo e storico sodalizio con le insegnanti e la scuola (in cui crede moltissimo per l’aspetto didattico ed educativo), del sostegno che ha sempre dato alle professoresse e ai professori (ma anche alle maestre negli anni prima) e dei rapporti di stima, collaborazione e fiducia reciproca.
La sua opinione è che impegnarsi per costruire spazi di collaborazione tra adulti ed educare attraverso l’esempio i più piccoli sia la carta vincente per avere luoghi attenti e accoglienti per i bambini e i ragazzi.
Cosa vuol dire per lei essere madre di un preadolescente?
Premetto che essendo una mamma di tre figli maschi, mi sono già ritrovata per ben due volte in questa situazione, e seppur ogni figlio sia diverso, il mio metodo è stato per tutti uguale. Vuol dire essere una madre sempre attenta, non perderlo mai di vista, monitorare i suoi atteggiamenti, il suo umore, i suoi gesti, il suo modo di esprimersi e di rapportarsi con gli altri…ascoltarlo.
In che cosa sente di dover remare controcorrente rispetto alle scelte di altri genitori?
Sicuramente io sono una madre un po’ all’antica, cioè non sono l’Amica dei miei figli, sono in primis la madre…sono sempre stata contro le nuove tecnologie e i social.
Io e mio marito abbiamo sempre deciso per il bene dei nostri ragazzi e non abbiamo delegato a loro la scelta su questioni importanti. Non ci siamo fatti intenerire dal “ma lo fanno tutti”. Il cellulare mio figlio l’ha avuto a 13 anni e lo può utilizzare solo qualche ora al giorno, ma soprattutto non lo può portare a scuola e non può utilizzare i social come Facebook e Instagram.
Anche nella vita reale poniamo regole nette, mio figlio non può dormire a casa degli amici come fanno altri suoi coetanei, perché ha già sufficienti spazi di aggregazione e socializzazione durante la giornata. Noi indirizziamo e interveniamo nell’educazione, preferiamo l’intervento diretto, non lasciamo che nostro figlio si autogestisca; certo gli permettiamo di fare scelte autonome su questioni alla sua portata, però per noi indirizzare ed essere presenti significa supportare la crescita. Non hanno l’età per poter affrontare tutto da soli. Per noi non esiste la frase “che si arrangino”. Rischiano di sentirsi persi di fronte a problemi più grandi di loro e di confondersi di fronte alle mille possibilità che si trovano davanti.
Che rapporto ha con la scuola e con le insegnanti?
La scuola per me è sempre stata un pilastro importante per l’educazione e la crescita dei miei figli. Gli insegnanti sono molto importanti perché educatori, e come dei secondi genitori per i miei figli; sono sempre stata dalla loro parte e ho sempre collaborato. Sono sempre stata molto partecipe e attiva perché ho sempre creduto che ci voglia una giusta collaborazione fra genitori e docenti.
Che cosa le piacerebbe venisse implementato nelle proposte a scuola?
L’utilizzo corretto delle nuove tecnologie e dei social…e il bullismo che viene già trattato.
A cosa deve servire un servizio di sportello di ascolto in una scuola secondaria di primo grado? Sicuramente serve a fare sfogare, aprire e confidare l’alunno che sente il bisogno di confidarsi con una persona fidata al di fuori del genitore, ad affrontare l’adolescenza in maniera più serena…e nel caso dei genitori che usufruiscono del servizio, come lo è stato per me, è un modo per chiedere un consiglio, un conforto, un supporto su come comportarsi in determinate situazioni con i propri figli.
Se potesse decidere lei come organizzare lo sportello di ascolto cosa farebbe?
Aggiungerei all’orario scolastico un’ora settimanale con la psicologa, dove a turno i ragazzi possano parlare di loro. Per imparare a esprimersi e conoscere le loro paure, le loro ambizioni i loro desideri…i loro pensieri. Un’ora in cui lavorare con la classe, dove parlare di tutto. Parlare di paure, sogni, dei desideri. In privato solo se si percepisce che c’è qualcosa da approfondire in privato. Il confronto con i pari aiuterebbe anche i più chiusi ad aprirsi. Se lo dice un ragazzo estroverso e più disinvolto anche il più chiuso può imparare a farlo.
Cercherei di farli aprire il più possibile, e lavorerei a stretto contatto con i genitori degli allievi che mostrano un bisogno specifico.
Secondo lei di cosa parlano i ragazzi e le ragazze allo sportello? Quali sono i bisogni, i confronti, le criticità che possono emergere all’interno dei colloqui?
Secondo me delle paure che hanno nell’affrontare un compito, un insegnante e magari di qualche problema con i genitori, o semplicemente con le amiche o amici. Della loro vita.
Sono tanti i temi importanti rilevati da Rosa, ognuno meriterebbe uno spazio di approfondimento.
Se la lettura di questa intervista suscita qualche riflessione da parte di insegnanti e genitori, o adulti interessati al dibattito su una delle questioni segnalate dalla signora Rosa, potete scrivere a: adolescenti@coopintrecci.it.
A cura di Alice Covelli