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Sono le 8.30 del primo giorno di oratorio feriale e a Bobbiate è arrivata Valentina: la conoscono tutti, perché da anni frequenta l’oratorio e la scuola lì vicino. È un tipo simpatico e un po’spericolato, va sempre tenuta d’occhio per evitare che faccia qualcosa di pericoloso. Gli altri bambini sanno che Vale è diversa: parla ad amici immaginari, non ha compiti da fare…

Stessa Comunità Pastorale, diverso Oratorio. A Masnago è appena arrivato Luca, uno di quelli che di certo non passa inosservato: parla poco e urla tanto, fa rumore battendo le mani e con altri oggetti soprattutto quando, come oggi, è molto agitato; si muove avanti e indietro, difficilmente si ferma a fare la stessa cosa per più di qualche minuto.

Ad Avigno l’oratorio è dedicato ai ragazzi della scuola media che arrivano dopo pranzo; tra loro c’è anche Paolo: ormai è un veterano del Oratorio Estivo (OE), ma nonostante questo fatica a comunicare con gli altri ragazzi e con gli animatori e difficilmente riesce a partecipare a tutte le attività pensate per la giornata. A volte si arrabbiata e allora inizia a prendere a calci gli zaini dei compagni, che non sanno cosa fare.

Sono questi alcuni dei ragazzi speciali di questa IV edizione del Progetto Inclusione. Ogni estate, infatti, l’OE organizzato dalla Comunità Pastorale Maria Madre Immacolata di Varese apre le iscrizioni a tutti, anche ai ragazzi con disabilità: il progetto prevede la presenza di educatori che favoriscano il più possibile la loro l’inclusione nelle diverse attività.

Sì, ma come?

Paradossalmente buona parte del lavoro non si concentra sui ragazzi del progetto: di loro bisogna scoprire pregi e difetti, limiti e risorse ma poi la vera sfida è fare in modo che queste ultime vengano colte e apprezzate da tutti, costruendo spazi relazionali in cui ciascuno possa sentirsi a proprio agio, in cui armonizzare i tempi di tutti e dove i limiti di alcuni vengano compensati dalle ricchezze del gruppo.

In alcuni casi è necessario che l’educatore costruisca occasioni ad hoc, pensate e strutturate perché siano accessibili a tutti: è il caso dell’attività di cucina partita ad Avigno per Paolo, che nel giro di poco si è trasformata in un appuntamento fisso settimanale aperto a tutti gli interessati, con produzione di pasta della pizza, torte e biscotti apprezzati da tutti.

In altre situazioni l’educatore resta sullo sfondo della scena, limitandosi a favorire la relazione: come con Valentina, una vera campionessa di calcio balilla tanto da essere voluta da tutti come compagna di squadra. A volte si litiga, oppure si fa finta di non sentire quando bisogna smettere di giocare perché gli animatori chiamano per la preghiera e perciò tocca all’educatore intervenire…

Infine ci sono le occasioni fortuite, quei momenti inaspettati che gli educatori devono sempre essere pronti a cogliere, come quando Luca ha iniziato a battere sul suo djembè, seguendo un ritmo tutto suo, un’animatrice ha preso il suo ukulele e ha iniziato ad accompagnarlo e Luca si è messo a cantare una nenia con aria contenta, gli altri ragazzi si sono avvicinati incuriositi. 10 minuti scarsi in tutto, ma che soddisfazione!

Alla fine di queste sei settimane di Oratorio Estivo mi sono chiesta a chi faccia bene un progetto così, per chi ha senso riproporlo tutte le estati.

I bambini e ragazzi con disabilità sono i primi che vengono in mente. Che però non sono mai più di 4-5 ogni anno, date le limitate risorse del progetto: un numero minimo, se teniamo conto di tutti coloro che avrebbero effettivamente bisogno di partecipare.

Bisogna allargare un po’ lo sguardo per capire bene quanto sia importante lo sforzo e la fatica che ogni anno questa Comunità Pastorale sostiene. Se da un punto di vista meramente quantitativo i conti si fanno in fretta, l’impatto positivo che ha la presenza di questi ragazzi speciali è ben più vasto di quello che si potrebbe pensare. La loro disabilità, infatti, costringe gli altri – i bambini, gli animatori, i volontari – a fare i conti con la loro diversità, con la loro inadeguatezza, con i loro limiti. Ma la loro presenza ci ricorda, soprattutto, che il limite è una condizione profondamente umana, che accumuna tutti e le persone con disabilità lo rendono solo più evidente.

Allora un progetto così fa bene all’intera comunità perché allena la nostra capacità di fare pace con i limiti di ciascuno di noi e di accogliere tutti, ma proprio tutti.

Anche noi stessi.

Federica De Stefano

Info: f.destefano@coopintrecci.it

I nomi dei minori indicati nell’articolo sono inventati