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Le radio italiane la passavano ancora a nastro il giorno in cui sono arrivate le sue sorelle. Jovanotti cantava “Io penso positivo” e il motivo mi torna in mente subito dopo aver incontrato Angely qui, all’Emporio della solidarietà di Varese. Sguardo aperto, battuta pronta, ogni tanto un’espressione dalla cadenza romanesca, ci racconta la sua storia. Che parte da una città del Centro America e arriva diretta, lei poco più che ventenne, nel nostro Paese. “Sai com’è, no? Quando hai finito la scuola, sei giovane e vuoi vedere, vuoi sperimentare, vuoi mangiare il mondo. E così ho deciso di raggiungere le mie sorelle che da sei anni vivevano in Italia dove avevano trovato anche i loro compagni di vita”. Un destino, quello della sua famiglia: alla fine dieci fratelli sparsi per il mondo; la maggior parte in Italia, ma anche in un altro paio di continenti. Le videochiamate transoceaniche devono essere uno spettacolo.

Arrivo in Italia nei primi mesi del 2002 e vado a vivere con mia sorella, nel Varesotto. Ma dura poco, perché io e il suo compagno non andiamo per nulla d’accordo. E allora mi sposto poco lontano, dall’altra mia sorella. Anche qui il soggiorno non dura molto, ma questa volta c’è una bella ragione: nel frattempo ho incontrato quello che diventerà mio marito, ingegnere a Roma”. La vita di Angely comincia quindi a seguire un corso che potremmo definire “classico”, regolare: il matrimonio, un impiego in un negozio come commessa, l’arrivo dei figli. A un certo punto la famiglia che cresce decide di traferirsi fuori dalla capitale: mutuo, acquisto della prima casa. Sono sedici anni passati in un lampo: il lavoro a tempo indeterminato come vice responsabile del negozio, la nascita di tre maschietti e una femmina. Poi la decisione di lasciare il lavoro per dedicarsi totalmente ai figli; ma Angely non riesce a stare ferma: prima si iscrive all’università e porta a casa una laurea triennale e, subito dopo, riprende a lavorare come addetta ai menù speciali in un servizio di distribuzione pasti.

Ma come talvolta succede, all’improvviso, arriva l’ostacolo che fa deragliare il corso placido della sua vita fino ad allora: le prime tensioni col coniuge, poi la scoperta della sua infedeltà, la decisione di separarsi. C’è un breve tratto della vicenda di Angely che si presenta davvero cupo: quattro figli a carico e il marito che all’inizio interrompe ogni rapporto con lei e non pare intenzionato a corrispondere ai doveri che rimangono in capo al coniuge economicamente più forte. Eppure le parole di Angely sono anche qui positive: “Quando ci si separa la responsabilità non è quasi mai da una parte sola. Alla fine era diventato chiaro che non eravamo proprio fatti per andare d’accordo, anche se ci siamo voluti davvero bene. L’avvocato che in seguito mi ha affiancato nella separazione mi incitava a sfruttare fino in fondo la situazione, ma io non ho voluto. Non mi è parso giusto; non lo era nei confronti suoi, miei e della storia che avevamo vissuto fino a qualche mese prima”.

Penso non sia proprio da tutti questo atteggiamento “oggettivo” e costruttivo; soprattutto se hai sulle spalle quattro figli dai sedici ai sette anni. Le chiedo se in quelle prime settimane abbia avuto paura: “No, mi sono detta o la va o la spacca e mi sono fatta coraggio. Non avevo tante strade di fronte a me e dovevo imboccarne una alla svelta”. E la nuova strada la riconduce al nord, sempre nel Varesotto, dove vive un altro dei fratelli. Ma tutto questo avviene nel febbraio 2020, proprio alla vigilia del primo lockdown per il Covid. Com’è ovvio, per Angely si chiude ogni possibilità di trovare un nuovo lavoro e la convivenza di sei persone in un modesto appartamento diventa un’altra prova da superare. “Le strade erano vuote e io mi sono trovata bloccata in casa, ma qui devo proprio dire che è intervenuto il cielo ad aprirmi le porte”. Infatti, quello che avviene assomiglia molto a un miracolo: attraverso il passa parola tra conoscenti, i due fratelli vengono a sapere che c’è una casa che sta per essere riaffittata e si affrettano a contattare il proprietario, il quale, con loro grande sorpresa, non richiede né busta paga in garanzia, né la caparra e nemmeno i mesi anticipati di regola. Una circostanza più unica che rara, soprattutto se di mezzo c’è una donna di origini straniere… seppur dalle originali espressioni romanesche.

E il passaggio nella nuova casa, per ora l’ultimo di numerosi, rappresenta l’inizio di un veloce percorso di reinserimento nel tessuto varesino; orientata dal passaparola, Angely approda prima alla mensa della Casa della Carità, dove pranza per un paio di mesi, e subito dopo all’Emporio della solidarietà, sempre alla Brunella, presso il quale ha potuto fare la sua spesa gratuitamente per un anno intero. “Diciamo che ero un po’ prevenuta verso questi ambienti che fanno capo alla Chiesa o a religiosi, però ringraziando dio ho trovato Federica, che mi ha accolto davvero come si deve, con un’empatia rara. Mi è stato davvero utile fare la spesa qui, trovando tutti i beni di prima necessità. E’ stata la base che mi ha consentito in seguito di andare avanti sempre più in autonomia. In contemporanea, infatti, si è materializzato l’aiuto del Reddito di cittadinanza, e recentemente un nuovo lavoro, seppur temporaneo, presso una catena di vendita di prodotti alimentari biologici e naturali”.

E qualche settimana fa, un gesto che ha colpito molti: Angely ha portato al guardaroba della Casa della carità quattro bustoni pieni di vestiti per bambini; ai suoi figli non andavano più e avrebbe potuto rivenderli, ricavandone un po’ di soldi per sé e per la propria famiglia. E invece no: ”Qui mi hanno aiutata, volevo dare anch’io una mano ad altri che ora sono nei guai”.

Le chiedo quanto abbiano contato i legami attorno a lei in questo percorso virtuoso: “hanno contato molto le occasioni, nelle quali l’aiuto mi è arrivato dall’alto, e le persone che le hanno agevolate. Certo i miei fratelli, con i quali continuo ad avere un rapporto molto bello, ma anche uomini e donne che non avevo mai conosciuto prima”. Ha contato anche l’appartenenza a una comunità etnica? “Non tanto, perché io non sono un tipo che gradisca molto alcuni aspetti della cultura sudamericana. Insomma, sono una persona non molto “festaiola”, che preferisce dedicarsi totalmente alla sua famiglia e al suo nido. Mi piacciono ovviamente le mie radici e ne sono orgogliosa, ma non sento l’esigenza di frequentare molto una comunità; penso infatti che lo sforzo maggiore di chi emigra in un nuovo Paese debba essere quello di inserirsi il più possibile nella nuova società, e pure in punta di piedi”.

Sono incuriosito dai tanti riferimenti e intercalari di tipo religioso e allora le chiedo se crede. “Ni. Sono molto credente in Dio, ma con la Chiesa e i preti non ci faccio molto. Ho avuto le mie esperienze e oggi sono un po’ diffidente. Se invece parliamo di Dio, beh, chi vuoi che ci sia dietro la vicenda dell’ultima casa che ho trovato?!”.

Come vedi il futuro, Angely? “Mo’ vediamo. Io mi auguro che sia un futuro di lavoro, di pace e di tranquillità. Intanto sto pensando a un corso per diventare Oss, così aumento le possibilità di trovare un lavoro stabile. Ce la farò, perché mi hanno insegnato che in qualunque posizione lavorativa tu ti trovi, devi lavorare come se l’azienda fosse tua. Anche al negozio, il mese scorso, mi hanno detto che nessuna è come me e che mi richiameranno. Succederà qualcosa, vedrai”.

Come faceva la seconda strofa?

Io penso positivo/Ma non vuol dire che non ci vedo/Io penso positivo in quanto credo/Non credo nelle divise/Né tanto meno negli abiti sacri/Che più di una volta/Furono pronti a benedir massacri/Non credo ai fraterni abbracci/Che si confondono con le catene/Io credo soltanto/Che tra il male e il bene/È più forte il bene.

Ecco.

A cura di Oliviero Motta e Federica Di Donato