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Il progetto FRA NOI 2 sta per concludersi e abbiamo chiesto alla project manager, Tiziana Ferrittu, di raccontarci il progetto attraverso i suoi occhi e le sue percezioni.

Perché, a vostro avviso, si è reso necessario un progetto come questo? A quanto ammonta il budget a livello nazionale e come viene suddiviso?

Dopo l’esperienza svolta nel biennio 2018-2019, dal primo luglio 2020 il Progetto FRA NOI, finanziato dal Ministero degli Interni sul FAMI (Fondo Asilo migrazione e integrazione), ha continuato la sua azione con una seconda edizione. Communitas, soggetto nazionale comprendente 23 enti espressione delle Caritas diocesane, «ha ereditato» dal proprio socio lombardo Consorzio Farsi Prossimo l’esperienza realizzata con la prima edizione del progetto FRA NOI.

Penso sia importante ricordare, per quanto i vostri siano lettori più che informati, che progetti come FRA NOI rientrano nelle politiche di accoglienza e inclusione previste dall’Unione Europea. Conseguenza delle guerre, delle crisi economiche e climatiche, come sappiamo, è lo spostamento di donne e uomini in cerca di un futuro diverso per loro stessi e le loro famiglie. Ricordare il motivo principale che muove questi progetti penso sia, d’altra parte, il nostro primo obiettivo che talvolta rischia di perdersi in aspetti di carattere tecnico.

Nello specifico il Progetto FRA NOI, finanziato dal Fondo FAMI e organizzato da una Autorità di gestione nazionale che, in questo caso, è il Ministero degli Interni, interviene quando i titolari di protezione internazionale, rifugiati o con protezione sussidiaria, escono dal sistema di accoglienza e necessitano ancora di sostegno per l’inclusione lavorativa, abitativa e sociale. Si tratta di un sistema di “accompagnamento all’autonomia” che nasce dalla consapevolezza delle debolezze del sistema nazionale di accoglienza e integrazione Sai che non riesce a realizzare una reale integrazione nel territorio: ad esempio, solo il 20% dei migranti accolti nel sistema Sai riesce poi a ottenere un contratto di lavoro, e più della metà non riesce ad avere un contratto di affitto.

Il budget totale a disposizione del progetto ammonta a circa 2 milioni e mezzo di euro, costituito per il 50% dal contributo comunitario, per il 40 da quello nazionale e da anche un 10%  di cofinanziamento. Il budget è stato distribuito tra i partner in base alla possibilità di coinvolgimento a livello locale di beneficiari nel progetto. Infatti una buona parte del budget è destinato a spese direttamente a beneficio dei percorsi dei titolari di protezione internazionale.

Quanti beneficiari sono stati aiutati a livello nazionale e da coop intrecci?

Il progetto ha l’obiettivo di coinvolgere nelle 14 regioni italiane in cui è attivo circa 450 migranti titolari di protezione internazionale che abbiano portato a termine, da non oltre 18 mesi, percorsi di accoglienza presso progetti SAI, CAS e il circuito dell’accoglienza dato dai Corridoi Umanitari. Solo in Lombardia il progetto mira a coinvolgere quasi un centinaio di migranti, attraverso il coordinamento del Consorzio Farsi Prossimo e il lavoro prezioso dei case manager di alcune delle sue cooperative socie come, appunto, la Cooperativa Intrecci che sta lavorando con circa 40 persone. Il Progetto avrebbe dovuto terminare il 30 giugno 2022, ma la Commissione Europea, considerata la grave crisi in Ucraina, ha prorogato di un anno il periodo di realizzazione della programmazione dei fondi strutturali e dunque il Ministero degli Interni ha ritenuto di spostare la scadenza del progetto FRA NOI a fine 2022. Il progetto ad oggi ha quasi raggiunto l’obiettivo previsto, per quanto l’emergenza sanitaria abbia ritardato le uscite dei beneficiari dal sistema di accoglienza e molti dei percorsi di inclusione avviati abbiano necessitato di ulteriori supporti perché, per esempio molti hanno perso il lavoro. È molto probabile, dunque, che al 31 dicembre l’obiettivo sarà raggiunto, per quanto per tanti titolari di protezione internazionale si tratta di avere a che fare con economie precarie e dunque più che di autonomia si può parlare di semi-autonomia.

Qual è il bilancio ad oggi? E che cosa rende il progetto “speciale”?

Il contesto di realizzazione dei progetti finanzianti con un Avviso che era stato fatto uscire nel 2019 è ovviamente, per via dell’emergenza sanitaria ancora in corso, profondamente e drammaticamente diverso rispetto a quello in cui sono stati ideati. La situazione generale socio-economica, italiana e europea, è caratterizzata da enormi perdite umane ed economiche, aumento del rischio di povertà e delle diseguaglianze. Non possiamo ignorare che molti percorsi di inclusione dei titolari di protezione internazionale, già estremamente complessi, sono stati fortemente compromessi, rallentati, talvolta interrotti a causa dell’accresciuta precarietà lavorativa e incertezza che in molti casi li sta condannando ad una maggiore esposizione alla ricattabilità sociale che riguarda diversi fronti, dal lavoro alla casa. A maggior ragione gli interventi si basano su alcuni pilastri: inserimento lavorativo in aziende, accoglienze in famiglia, autonomia abitativa in situazioni di affitto, housing sociale o cohousing e inserimento sociale nelle comunità locali. Il sistema di intervento, fin dalla prima edizione svolta nel 2018, ha sempre posto i percorsi individuali come scelta strategica prioritaria, attraverso la costruzione di un sistema complessivo, collegato ai circuiti di accoglienza, che garantisce una lettura multidimensionale dei bisogni dei titolari di protezione internazionale, interventi differenziati, definizione non autoreferenziale delle risorse e obiettivi a breve/medio termine, proattività delle persone, raccolta dei dati, monitoraggio dei percorsi e valutazione. La metodologia prevede un approccio personalizzato per tenere conto delle esigenze specifiche di ogni destinatario e dei servizi di cui ha precedentemente fruito nella fase di accoglienza e nell’ambito di ulteriori progetti finanziati da risorse nazionali e/o comunitarie (complementarietà). Dunque, non tutto per tutti o lo stesso intervento per tutti, andando ad agire per una autonomia reale che non perpetua eventuali errori incorsi magari nella fase di accoglienza iniziale. Interventi graduali e sempre più mirati e specifici sono un efficace antidoto alla tendenza dell’opinione pubblica a generalizzare ed assumere atteggiamenti stereotipati e discriminatori nei confronti di tutti i migranti. La metodologia multidimensionale rappresenta quindi anche un sistema per affrontare in modo organico problematiche quali appunto la discriminazione sociale come opportunità sulle quali lavorare e non solo come elementi che limitano il cambiamento.

Quindi cosa fa la differenza rispetto a progettazioni simili per intervento ed utenza?

Tutte le analisi sulla marginalità sociale dimostrano che gli interventi di massa disperdono le risorse, non raggiungono l’obiettivo e favoriscono le “recidive”. Questo modello di intervento genera una visione pluralistica del contesto, integra variabili oggettive e soggettive, dà voce al punto di vista dei diversi stakeholder locali e ai beneficiari stessi, avvia il cambiamento auspicato partendo dall’individuazione di risorse e criticità del contesto, individua bisogni strumentali e soluzioni condivise.  In questa prospettiva FRA NOI interviene con azioni specifiche di attivazione degli attori locali, affinché gli eventuali gap che impediscono ai titolari di protezione internazionale di realizzare percorsi di integrazione efficaci e sostenibili nel tempo possano essere colmati, al di fuori del circuito dell’accoglienza, con il contributo degli stakeholder più appropriati. Perché ciò avvenga è necessario costruire degli “enzimi di integrazione”, che possano creare le condizioni favorevoli a mettere il titolare di protezione internazionale nelle condizioni di emanciparsi da una prospettiva di “fruizione di servizi di assistenza” e di assumere pienamente i diritti e le responsabilità di un membro attivo della comunità.  Ancor più nel contesto che attualmente stiamo vivendo è dunque importante uscire dalla logica dei servizi elargiti a “prestazione” come singoli interventi per nulla o scarsamente connessi tra di loro con maggiori rischi di fallimento, per lavorare con maggiore tenacia al fine di garantire ai TPI, seppure tra numerosi ostacoli, percorsi di inclusione integrati nel sistema di welfare e inseriti a pieno titolo nelle comunità locali.

Programmazione e monitoraggio: quanto “costa” in termini di tempo e impegno l’uno e l’altro?

Qualche tempo fa ho scoperto che le parole progetto e problema hanno la stessa origine etiologica per quanto una, pro-iecto, dal latino, e l’altra, pro-ballo, dal greco. Entrambe queste parole, dunque, hanno in sé il significato del lanciare in avanti. Sappiamo che problema ha assunto il significato di “questione da risolvere”, mentre progetto ha attinenza con “qualcosa che si ha intenzione di fare”.  Penso che progetti come FRA NOI siano necessari non per attenersi ad un piano, ma per esserci in ogni momento per i migranti che, obbligati a lasciare i loro paese spesso in condizioni disumane, hanno bisogno di essere accompagnati in percorsi reali di inclusione nelle nostre comunità. Progettare è dunque dare una nuova possibilità, è comprendere cosa si può fare in base alla situazione e, anche e soprattutto, ai desideri delle persone. Per questo motivo ritengo, come project manager, che la programmazione sia fondamentale non solo perché consente di concretizzare gli auspici definitivi in sede di progetto, ma anche e soprattutto perché, se fatta in modo opportuno, permette di realizzare collaborazioni virtuose tra i diversi attori coinvolti. Questo rende progetti come questi davvero utili e non solo un modo per procacciare risorse, per quanto questo sia un sacro santo bisogno degli enti gestori di servizi complessi come quelli di cui stiamo parlando.

Intervista a cura di Federica Di Donato e Elena Pastorino

Info: f.didonato@coopintrecci.it