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Per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio. Credo che tutti i genitori, prima o poi si siano imbattuti in questo proverbio africano di lontana saggezza. Soprattutto negli ultimi decenni, quando di villaggi se ne abitano sempre meno e sempre più ci siamo abituati a sperimentare una solitudine inquieta, che ci carica di responsabilità e fatiche.

Famiglie sradicate, allargate, ristrette, ricomposte. Reti amicali infinite, sottili, temporanee, impegnate ed impegnative. Comunità veloci, interrotte, locali, metropolitane, globali.

Le distanze fisiche si sono sciolte nel fluido di internet ma quelle affettive sedimentano ed incontrano ostacoli dopo ogni curva. Tutto ci appare potenzialmente accessibile ma talvolta sostanzialmente inarrivabile.

Ed in questo scenario distopico ci riscopriamo abitanti di villaggio, di quel luogo remoto che si stringe intorno a noi senza farci sentire costretti. Non importa dove viviamo e quante persone conosciamo: condomini, quartieri, cascine, villette, borghi, grattacieli, metropoli, monolocali…in ogni luogo catturiamo gli sguardi che ci circondano e costruiamo legami ed intrecci, in grado di attivare e consolidare la nostra natura sociale. Così esorcizziamo quella solitudine opaca che altrimenti ci aliena e confonde. Così riconosciamo negli altri le nostre fragilità e costruiamo le nostre forze.

E questo processo si amplifica nel momento stesso in cui si nasce genitori. Fin dal momento dell’attesa ciascuna mamma o papà sa che lo aspetta un viaggio meraviglioso a cui non sarà mai abbastanza preparato. Tutina o spezzato, ciuccio o dito in bocca, coccole o autoconsolazione, allattamento o preparati artificiali, lettone o culla, svezzamento o autosvezzamento…bastano poche settimane per capire subito di essere piombati nel più complicato quiz a premi della propria storia; già, perché le ricompense ci sono e sono estremamente concrete. Un’ora di sonno in più, il tempo di fare una doccia vera, le esplosioni sorridenti di quei frugoletti amabilmente sconosciuti…ma ovviamente quegli esserini non ci vengono mai consegnati con le istruzioni allegate.

E quindi, come in tutti i quiz che si rispettino ci accaparriamo gli aiutini: l’aiuto da casa, sempre che a casa ci sia qualcuno, perché spesso il momento del bisogno arriva quando tutti intorno si sono defilati pochi minuti prima; l’aiuto del pubblico, quello delle chat e dei blog ma soprattutto di quella comunità che ci sostiene e soccorre in maniera fondamentale ed unica; il 50 e 50 che ci permette di sfoltire la moltitudine di opzioni, che sono sicura ricchezza ed abbondanza ma che a volte sarebbe meglio lo fosse anche meno; l’aiuto dell’esperto, colui che (dal mito Treccani) “ha esperienza, chi conosce bene qualcosa (…) chi ha una lunga pratica e abilità nel proprio settore di attività, o una sicura conoscenza di qualcosa (…) un perito, un tecnico o più in generale una persona che ha una vasta competenza in un settore”.

La cooperativa Intrecci è popolata anche di madri e padri ma soprattutto di “esperti” che, in tema di sostegno alla genitorialità ed alla crescita, si prodigano per erogare servizi complessi e flessibili che si adattino alle varie realtà comunitarie come un vestito su misura, praticando il senso intimo del villaggio del proverbio africano.

Ne è un esempio perfetto lo Sportello In Ascolto. Il progetto multidisciplinare, contenuto nel bando Gener-Azioni Cooperative, include diversi attori, psicologi, pedagogisti, educatori che collaborano con insegnanti ed operatori scolastici, rivolgendo la propria attenzione e competenza a destinatari differenti, portatori di differenti istanze: bambini, ragazzi, genitori, nonni, adulti che costituiscono la comunità educante del territorio di Rho. Attraverso gli sportelli, attivi in varie scuole pubbliche di ogni ordine e grado, vengono raccolti centinaia, migliaia di vissuti, dubbi, successi di genitori e figli, talvolta impantanati o semplicemente spiazzati da cambiamenti repentini e inaspettati. Perché quell’esperienza del quiz a premi non si esaurisce ahinoi con le prime (in)decisioni sopra illustrate, ma prosegue ad ogni passo: dopo il primo sprint genitoriale ci si scontra con altri temi e tempi come l’asilo nido o i nonni, la scuola materna o l’aspettativa lavorativa, lo sport oppure il tempo dell’ozio. E via via che la statura aumenta, vai coi pigiama party o merenda con gli amichetti, cellulare o consolle, smalto o rossetto…e quei neonati che facevano dannare coi loro pianti indecifrabili ad un certo punto, con estrema soddisfazione, acquisiscono pure l’uso della parola, con cui creano storie meravigliose ed un po’ meno meravigliose domande. Già, quelle temute, inopportune, scomode domande esplicite che ci colgono sempre impreparati, imbarazzati e che ci fanno anelare gli aiutini, senza i quali ci sentiamo ancora come fossimo chiamati alla lavagna, davanti alla maestra che ci interroga a sorpresa.

E riparte il carosello del villaggio che ci aiuta a districarsi nel dedalo di curiosità scomode.

La cosa che emerge maggiormente nell’attività dello Sportello, quando viene chiesto, individualmente o in gruppo, l’aiuto dell’esperto, è il senso di terrore che alcune domande generano nei genitori, come se il tempo si congelasse nel momento esatto in cui viene fotografato il panico e non ci fosse più uno scorrimento del nastro. La paura di sbagliare, di dire una cosa errata, di non saper rispondere, di fare la “figuraccia” rischia spesso di offuscare il giudizio e far dimenticare che la vita non è fatta di fotogrammi distinti e finiti, come nelle blasonate serie tv. L’errore è inevitabile, se inteso come caduta di prestazione, calo del rendimento, défaillance temporanea. Ma anche nell’errore esiste un “dopo”, un continuum fatto di relazione ed emozione che restaura, recupera, eventualmente rimedia. A questi genitori ed adulti terrorizzati dal blackout emotivo dell’imprevisto, da esperti rispondiamo che di fronte ad una situazione che ci fa sentire a disagio non dobbiamo per forza essere performanti ed immediati: ci si può e deve prendere il tempo per accogliere la propria emozione informarsi, ragionare, elaborare risposte in modo direttamente proporzionale al peso delle richieste. Domande come “Cosa ci fa quella signora sul marciapiede senza vestiti?”, “cosa significa quella parola che ha detto il mio compagno a scuola, quando tutti i maschi si sono messi a ridere?”, “come faccio a dire di no quando mi chiedono di fare quel gioco che non voglio?” arrivano precocemente da nativi digitali che accedono sempre prima ed in modo purtroppo autonomo al mare di internet e che vengono quindi presto in contatto con argomenti che non sanno interiorizzare, se non con l’aiuto degli adulti e che diffondono con velocità ultrasonica, gettando famiglie e classi intere nel panico.

Quest’anno in particolare lo Sportello ha offerto la propria esperienza e competenza alla comunità adulta con incontri creati per aiutare a distinguere gli elementi della situazione, semplificare la complessità, far emergere risorse, individuare e condividere strategie che permettono di dare risposte reali, che tengono conto delle proprie sensibilità: sul tema “sesso” abbiamo ad esempio incontrato genitori che hanno dato informazioni cliniche semplici e spontanee, maturate nella propria esperienza professionale. Ed ha funzionato perché i bambini non hanno bisogno di grandi discorsi per soddisfare la propria curiosità. Altri hanno utilizzato libri o articoli adatti all’età del figlio. Altri ancora hanno delegato al partner o al fratello maggiore, consci di non esser in grado in quel momento di affrontare un imbarazzo personale atavico. E nella condivisione delle proprie soluzioni ciascuno si è sentito capito, accolto e supportato.

Ma anche quest’anno l’attività dello Sportello In Ascolto è stata prevalentemente indirizzata ai bambini ed ai ragazzi delle scuole pubbliche, con interventi specializzati e flessibili nelle classi, per accogliere ed esplorare i vissuti, per aiutarli a navigare nel mare comunicativo e relazionale che fa esplodere i conflitti o sommerge i disagi, a meno che non venga dato spazio alla riflessività condivisa. In alcuni laboratori quelle stesse domande scomode o meglio quelle paure accennate sopra, sono state buttate lì, tra un gioco di ruolo, un video ed una scenetta improvvisata, come panni sporchi o come frecce avvelenate scagliate per rabbia: “Io dico sempre no perchè…perchè non lo so, ma solo così sto bene”, “lui mi picchia ma è per gioco, anche se io non mi diverto sempre”, “perchè mi tratta così, se mi dice che sono suo amico? forse non lo pensa davvero”, “A volte non rispondo alla maestra perché poi tutti ridono”, “io non ho nessuna qualità e non so far niente”…emozioni con radici profonde che saltano fuori dal cilindro mentre siamo magari distratti da altro, ma che meritano attenzione seria ed uno spazio, anche non immediato ma qualitativamente strutturato, costruito insieme al villaggio che abitiamo e, perchè no, grazie agli aiutini che offre!

Francesca Fantini

Info: e.raimondi@coopintrecci.it