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Ricardo in tanti anni di lavoro presso una struttura sanitaria ha imparato anche il dialetto; in fin dei conti, gli anziani con cui lavora ogni giorno sono stati i migliori insegnanti: modi di dire, proverbi, e le parolacce colorite. Sono gli stessi che ritrova al bar, quando si prende una pausa durante il lavoro o alla sera, prima di rincasare. Uomini che passano il pomeriggio a giocare a carte, spesso non trovano di meglio che commentare e bollare le vite degli altri, dando corso, più che volentieri, a quei luoghi comuni contro gli stranieri: tutti “marocchini”, fannulloni e assistiti. Ricardo, sbarcato dall’estero ormai più di vent’anni fa, potrebbe passare anche per un italiano; ed è forse per questo che gli affezionati “leoni da bar” non si fanno problemi a spararle grosse anche con lui in circolazione. Un cicaleccio dispregiativo diretto, senza filtri.

Ma dopo quei caffè, Ricardo sente come un groppo in gola, una piccola ulcera che si riapre ogni volta; e poi, se per caso riferisce alla sua cara moglie ciò che ha sentito al bar, apriti cielo: “te l’ho detto che non devi andarci, lì si sentono cose brutte verso di noi, che non sono vere e che ci fanno del male. Lascia perdere!”.

Quando si è trovato improvvisamente nei guai, Ricardo ha ripensato più volte a quelle chiacchiere velenose, a quei giudizi affilati come pugnali alle spalle di persone conosciute, se va bene, solo per sommi capi. E ci ha pensato molto ma molto bene prima di chiedere un qualsiasi aiuto. Non voleva finire bollato come uno che vive alle spalle della collettività, “mangiapan a tradiment”.

D’altra parte anche Ricardo e sua moglie, entrambi lavoratori umili, hanno dovuto fare i conti prima con il Covid e poi con l’impennata dei prezzi e delle tariffe che ha investito il nostro Paese dal 2022. La pandemia, innanzitutto: sua moglie ha dovuto interrompere la sua attività di collaboratrice familiare – manco a dirlo, in nero – in una manciata di case della città. In realtà le pulizie erano già state un ripiego, dopo che l’azienda nella quale lavorava aveva chiuso i battenti e si era ricollocata, armi e bagagli, in Cina.

Poi l’impennata di tutte le voci di spesa ordinarie: la rata del mutuo variabile passata da 450 euro a 660; la bolletta dell’energia che da 80 euro ha superato i 300; i costi del condominio, la spesa settimanale al supermarket che pesava sempre meno. Rincari che hanno impattato su tutte le famiglie italiane, ma che hanno cominciato a scavare voragini in quei bilanci che già tremavano in un equilibrio precario e instabile.

La vita tranquilla della famiglia di Ricardo è andata in pezzi: da due stipendi pieni a uno solo, e poi il carovita che ha alzato ancora di più l’asticella della sopravvivenza.

Ricardo era arrivato in Italia nel 2000 sulla scia dello storytelling di connazionali già approdati qui e che avevano dato forma e nutrito il suo “sogno italiano”. Ma già dai primi mesi nel Bel Paese aveva capito che un conto erano i racconti e un altro la realtà vera, quella che aveva dovuto sperimentare dopo l’arrivo a Milano. Nel giro di poco tempo si era sentito abbandonato da chi lo aveva attirato in Italia e aveva capito che doveva cavarsela ricominciando da zero, tra grandi difficoltà per nulla prevedibili.

Nel 2020 si sentiva un po’ come tornato indietro di vent’anni. Dopo la stabilità della riva, percepiva che stava navigando di nuovo in acque poco sicure e che la deriva poteva trascinarlo in alto mare da un momento all’altro. Svegliarsi la mattina non aveva più lo stesso sapore, con i timori per il futuro che si facevano via via più forti.

Che fare allora? Rimanere immobili in attesa degli eventi o stendere una mano in cerca di aiuto? “Mia moglie non voleva che cercassimo un supporto; diceva: dai, vedrai che ce la facciamo da soli”. Ma alla fine mi sono detto che non stavo rubando niente a nessuno e mi sono fatto avanti.

E come quasi sempre succede, il primo passo per uscire dai guai è parlare con qualcuno. Ricardo ripensa a quei primi colloqui e a come il messaggio che gli era arrivato forte e chiaro fosse ogni volta puntualmente lo stesso. Prima l’assistente sociale del Comune che lo indirizza alla Parrocchia (“Una volta era la Caritas che segnalava le persone a noi, oggi siamo noi a inviare le persone che hanno bisogno di un aiuto a Caritas”), poi il prete giovane e infine il volontario Caritas: tutti a dirgli “non ti devi vergognare”. Un mantra che lo rincuora e lo incoraggia a cercare le strategie migliori per tirarsi fuori dai guai.

Comincia così a incrociare il suo percorso con quello dei servizi Caritas e di Intrecci sul territorio: l’Emporio della solidarietà, l’Hub, il progetto “Salute!”.

“Al Centro d’ascolto mi hanno illustrato la proposta di fare una parte della mia spesa all’Emporio della solidarietà e questo è stato il primo aiuto che ci ha fatto respirare un po’. L’ossigeno che abbiamo ottenuto l’abbiamo impiegato innanzitutto per recuperare il mutuo: ci mancavano sei anni per completare il pagamento della casa e non volevamo proprio che la banca, dopo tutto questo tempo, se la prendesse. Contemporaneamente abbiamo cominciato a trattare coi nostri creditori, a partire dal condominio, per ottenere dilazioni. Siamo così arrivati fino ad oggi: ci resta ancora da recuperare qualche spesa condominiale arretrata, ma siamo quasi rientrati in carreggiata. Mi sono sentito accolto qui in Emporio dagli operatori e dai volontari. E ora sono sereno”.

Sei mesi di spesa gratis in Emporio e poi il “rinnovo” della tessera per altri sei mesi sono stati le leve attraverso le quali Ricardo si è tirato progressivamente fuori dal pantano in cui rischiava di essere bloccato.

E un’altra opportunità sono state le cure, difficilmente rinviabili ma assolutamente non sostenibili economicamente, ottenute gratuitamente presso il Poliambulatorio di Viale Jenner a Milano. “Sì, lì ho ricevuto le cure odontoiatriche che non mi sarei mai potuto permettere ed è stata un’esperienza davvero strana. Nel mio Paese d’origine, infatti, avevo intrapreso gli studi come tecnico odontoiatra e ritrovarmi in quegli studi medici mi ha fatto sentire da un lato un po’ di nostalgia, ma dall’altro come se stessi davvero tornando a casa. Sono stati molto gentili. Dovrò tornarci poi anche a dicembre per terminare il trattamento, ma per allora so che la mia situazione economica sarà ulteriormente migliorata”.

Già, perché all’orizzonte c’è anche la promessa da parte di una famiglia di regolarizzare il rapporto di lavoro come collaboratrice familiare con la moglie di Ricardo.

Al centro della loro vita familiare, come per tanti esseri umani, ci sono i due figli. Il fatto che crescessero senza le giuste opportunità è stato il pensiero peggiore in quei lunghi mesi di fatica per lui e sua moglie.

“La mia fortuna oggi è che c’ho due ragazzi che hanno tanta voglia di studiare: il mio grande fa il liceo scientifico e vuole diventare pediatra, una cosa che ha chiara in testa da quando aveva 12 anni; i voti sono ottimi e credo proprio che arriverà a realizzare i suoi desideri. Anche il mio secondo studia informatica e ci mette un grande impegno. E’ il loro futuro che mi spinge continuamente ad andare avanti, ad affrontare la vita, tutto sommato, con un sorriso. Certo, stanno diventando grandi, mangiano come dei lupi e hanno le loro esigenze che per noi è difficile ignorare; ma quello che mi conforta è che riconoscono i nostri limiti e gli sforzi che facciamo, tutti insieme, per migliorarci ogni giorno. Anche quest’estate non potrò portarli al mare e questo mi dispiace molto, ma sto cominciando a mettere via a poco a poco una cifra sufficiente per poter mandare il più grande alla Giornata mondiale della gioventù e poi a un soggiorno scolastico all’estero per migliorare l’inglese. Ho trattato con gli organizzatori e mi hanno concesso di pagare entrambi i soggiorni a rate, in un tempo più lungo. Grazie a tutti quelli che ci hanno dato una mano possiamo davvero guardare verso il nostro futuro e quello dei nostri figli”.

Testo a cura di Oliviero Motta e Stefano Vitali