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Quando si dice “fare rete”. Quando i legami con persone che nemmeno conoscevi fino all’altro giorno ti scavano un sentiero in mezzo ai guai. Quando la catena degli eventi, senza neanche capire come, e tanto meno perché, ti offre una mano tesa. In poche parole è questa la storia di Roberto, cinquantadue anni, di professione tassista. Uno abituato a guidare, a condurre le persone a destinazione nelle notti milanesi. E che nella notte ci si è trovato all’improvviso. A fari spenti.

Ma andiamo con ordine: la prima scena di questo cortometraggio si gira prima della pandemia, quando ancora le notizie sui pipistrelli cinesi sono di là da venire. Dunque vita più o meno normale, per quasi tutti. Anche Roberto è alle prese col suo traffico quotidiano, con le piccole difficoltà della sua famiglia: qualche problema di salute della moglie, l’esigenza di un supporto specialistico per i figli. Niente di che.

Una delle carenze dell’età è il suo analfabetismo digitale: zero computer, pochissima pratica con le piattaforme. Ma quello che non gli manca è la voglia di chiacchierare con la gente che incontra, di “perdere” qualche minuto per confrontarsi e aprirsi quel tanto; diciamo che è una delle skill da tassista di lungo corso. E così confida questo suo limite alla dottoressa che segue sua figlia per una leggera disgrafia: le dice, buttandola lì, che avrebbe bisogno di una mano per conseguire il “bonus” con il quale acquistare il pc alla sua piccola. Il medico, evidentemente, non è di quelli che fanno il proprio lavoro e basta, “è una delle poche persone di cuore, che ascolta i problemi e cerca di risolverli, e non ti scarica da qualche parte”. E dunque gli segnala che in città c’è un servizio, aperto a tutti, pensato apposta per dare una mano a persone che hanno bisogno di questi piccoli servizi: l’#OPcafè del progetto #Oltreiperimetri. E’ lì che per caso Roberto incontra Giovanni, operatore del progetto ed educatore finanziario, che in pochi minuti gli crea account e password per il portale e gli risolve il problema. A posto.

Tuttavia anche tra Roberto e Giovanni il legame creato non si è esaurito nella “prestazione”, nel conseguimento del “bonus”. Quattro chiacchiere, la curiosità di Giovanni per un mestiere – quello del tassista – conosciuto solo per stereotipi superficiali. Ci sta anche la battuta sui soldi a palate che fanno i “nemici giurati di Uber”. Roberto abbozza, come sa fare. Ma la simpatia e la stima tra i due è sbocciata.

Una stima che verrà buona nella seconda scena del nostro “corto”, quando la vita di Roberto è già stata ribaltata dal lockdown che azzera completamente le entrate di famiglia. “Il Coronavirus – ci dice Roberto – mi ha messo al tappeto. Qualche anno fa, soprattutto dopo Expo, fare il tassista a Milano era remunerativo, ma da parecchio tempo i costi sono diventati davvero tanti. Prima del Covid arrivavo poco più che al pelo, riuscendo a pagare il mutuo per la nostra casa. Dopo, mi sono ritrovato sotto. Sono stati mesi difficili, dai quali comunque non ci siamo ancora tirati fuori. Milano non è tornata come prima e per noi il lavoro si è ridotto drasticamente, sia di giorno che di notte”. E dunque di nuovo Roberto si trova a dover mettere le sue grandi mani da meccanico su una tastiera, questa volta per richiedere il “bonus partite iva”. Il commercialista si offre di farlo per lui, ma a pagamento. E allora, perché non tornare da Giovanni?

Quelli erano veramente mesi tosti. Oltre al blocco delle attività, mi sono trovato a fare fronte alle conseguenze di un intervento chirurgico a mia moglie che non è andato come speravamo. Ho avuto davvero paura, in quel periodo. Ho ricevuto aiuto dai miei e da mia suocera, ma anche loro avevano pochi risparmi. Lo stop totale è durato da marzo a maggio 2020, poi ho ripreso a uscire con il divisorio per isolare l’anteriore dal posteriore, però il lavoro non c’era. Facevo nottate di fuori per 20 euro in tutto. Ho scelto di fare la notte per stare in famiglia di giorno, sostenendo mia moglie e seguendo i nostri bambini. Le ore di sonno si sono accorciate drasticamente, ma d’altre parte chi invecchia, si sa, dorme di meno”.

C’è spazio anche per l’autoironia nelle parole di Roberto. Ma dietro le lenti quadrate e la mascherina si percepisce il carico di responsabilità e la tensione che dura da troppo tempo. “La seconda volta che l’ho incontrato, quando mi sono fermato a parlare con lui – mi dice Giovanni – mi sono detto: ma che peso ha sulle sue spalle quest’uomo?!”.

Ancora oggi tutta la sua famiglia dipende da lui, dalla fortuna di una notte senza cattivi incontri o balordi, dall’incasso dei venerdì e dei sabati sera, quando c’è gente che va in giro.

E’ a seguito di quella domanda che gli pulsa in testa che Giovanni propone a Roberto di fare la spesa all’Emporio della solidarietà Caritas di Rho.

Chiedo a Roberto come ha reagito a questa proposta: vergogna? Imbarazzo? “No, niente di tutto questo. L’ho trovata sensata e la spesa qui mi è stata davvero di aiuto. Un’amica, quando ha saputo che venivo all’Emporio, è rimasta di sale e mi ha guardato come se fossi un marziano. Ma io avevo fresca l’impressione del compleanno del mio piccolino, in pieno lockdown: la tortina striminzita, i regali recuperati di risulta. Questo è stato davvero mortificante. Se sei da solo, come cadi ti rialzi. Ma quando ci sono di mezzo i tuoi bambini, faresti di tutto perché non debbano rinunciare a nulla della loro vita “regolare”. La cosa che mi ha spaventato di più allora era l’incertezza sui tempi: quanto sarebbe durato? Stringo i denti, ma fino a quando? In questo orizzonte la proposta della spesa tra gli scaffali dell’Emporio è stata una boccata di ossigeno, altroché vergogna. Ritengo di essere una persona abbasta umile, credo non ci sia niente di male a farsi aiutare; non è che porto via a qualcun altro: se posso avere un aiuto, perché no?”.

Si è fatto tardi, Roberto dà un’occhiata al cellulare che gli batte il tempo: deve passare dall’officina che gli revisiona il taxi, accompagnare la moglie all’ennesima visita, ritirare i figli da scuola. Due ore di sonno nel pomeriggio, poi preparare la cena. E infine uscire nella notte milanese, confidando in un incasso discreto.

In questa baraonda, lo si capisce al volo, Giovanni è diventato per lui uno dei punti di riferimento che tengono su la rete di sicurezza. “E’ stato importante poter contare sull’aiuto di Giovanni e dei volontari. Pensavo che l’Emporio fosse una cosa più essenziale, invece qui trovi un po’ tutti i prodotti di cui hai bisogno. E poi non scorderò mai la sorpresa del cadeau natalizio per i miei bimbi. Davvero bello”.

Tra due mesi finirà l’anno di utilizzo dell’Emporio. Roberto dovrà necessariamente lasciare il posto a qualcun altro che si trova nei guai. Come vede il futuro?

Vedo un futuro abbastanza pesante. A dire il vero non il mio, ma quello dei miei figli. Noi non riusciremo a lasciare a loro quello che ci hanno lasciato i nostri genitori. Per quanto mi riguarda ho giusto la casa, quando il mutuo sarà finito, e la licenza. Tutto qui. Se avessi trent’anni, potrei contare sugli anni a venire, ma ora non posso mica morire sul taxi. Ne vedo di colleghi che guidano anche da anziani, ma io non voglio fare quella fine, se possibile…”.

Mentre parla, la mente è attraversata dai due amati figli. Inciampa in un attimo di intensa commozione. Si interrompe.

Poi il pensiero fa inversione a U, tornando all’esperienza vissuta in questi due anni lunghi e intensi: “abbiamo ragionato spesso con Giovanni sulla vulnerabilità. Non bisogna mai pensare che i problemi siano solo degli altri, perché prima o poi la ruota gira. E quando gira a sfavore, ti rendi conto che non sei il padrone del mondo”.

E’ proprio lì che ci occorre qualcuno che tracci con noi e per noi… una via in mezzo ai guai.

A cura di Oliviero Motta e Giovanni Formigoni

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