Fa molto caldo in questo mese di luglio. Un tuffo nelle acque fresche del Villoresi. Così per gioco. insieme agli amici e connazionali, che ora vivono a Villastanza e con i quali ha attraversato mezza Europa a piedi.
Mohamed ora non c’è più. Non è più risalito a galla. Invano i soccorsi hanno cercato di riportarlo in vita. A neanche 17 anni la sua esistenza è stata interrotta da un tuffo galeotto. Lo piangono i genitori che in queste ore stanno arrivando frettolosamente dall’Egitto. Lo piangono gli operatori della comunità di Casa del Giovane di Milano, dove aveva trovato accoglienza e ospitalità da mesi. Lo piangiamo noi di Intrecci, che pur non conoscendolo, abbiamo con noi ormai da un anno e mezzo tanti altri ragazzi minorenni stranieri come lui, che approdano, stanchi e sfiniti, ai nostri confini, con il desiderio di una vita migliore, senza guerre, carestie, fame.
Provo a pensare a quanta esperienza questo ragazzo deve avere vissuto in un così breve lasso di tempo: il distacco dalla sua terra, dai genitori, dagli amici, dalle abitudini e dai costumi in cui era cresciuto. Provo a immaginare la leva che ha fatto intraprendere un così lungo viaggio, a soli 16 anni, e non trovo una spiegazione plausibile. Non la trovo perché non rientra nel bagaglio delle mie esperienze e il racconto di altri, anche se reiterato, non è mai sufficiente a farmi comprendere fino in fondo. Poi penso al coraggio necessario per iniziare questa avventura che sai quando inizia e mai quando finisce. Soprattutto, come il triste epilogo dimostra, come finisce.
Mi resta fisso in mente la strada. La tanta strada percorsa. Quasi sempre a piedi o con trasporti occasionali e di fortuna. Gli stenti, le insidie, il buio, il freddo. La paura e le violenze. La solitudine, la voglia di mamma e papà, dei fratelli. Le lacrime, il pianto e la disperazione. Il ritornare sui propri passi. Non ce la faccio più, mi arrendo. Gli amici, una mano comprensiva, il senso del gruppo che convince a riprendere la strada. Il viaggio continua.
Milano è una città straordinaria. A Mohamed, anche se nessuno lo conosceva, ha dato un letto, buon cibo e un progetto di integrazione. Persone che si sono prese cura di lui, che vogliono aiutarlo a costruire un futuro, anche se le difficoltà sono tante, perché Mohamed, anche se non sembra, resta ancora un adolescente e prima di tutto deve curare le ferite profonde di un distacco, di un viaggio e di un cambiamento, che, volente o nolente, sono per lui un macigno.
In queste notti di afa estiva, non si muove nulla. Solo silenzio. Penso ai tanti Mohamed caduti in mare o per la via della fortuna. Ed immagino un largo prato verde con le croci bianche. Proprio come quelle dei caduti sulle spiagge della Normandia.
Anche loro militi ignoti. Ma in questo caso contro la schiavitù dell’egoismo e dell’opulenza di una società che non comprende la grande opportunità di libertà che l’arrivo di questi piccoli fratelli ci offre.
Massimo Minelli