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Un mese e mezzo fa è iniziata l’esperienza di accoglienza presso La Casa di Eurosia, che vede in prima linea gli operatori di Intrecci, ma anche una folta comunità di semplici cittadini gallaratesi. Abbiamo incontrato Don Riccardo Festa, prevosto di Gallarate, ripercorrendo la genesi dell’iniziativa e volgendo anche lo sguardo al prossimo futuro.

Da qualche settimana è iniziata l’attività di accoglienza a La Casa di Eurosia, un progetto e una struttura che a Gallarate avete fortemente voluto. Come ti sembra stia procedendo questa avventura?

Avevamo presentato il progetto il 12 settembre 2020, chiedendo l’adesione e il sostegno economico per l’ospitalità notturna in una casa di emergenza per chi non avesse casa; sono iniziati subito i lavori per l’adeguamento del vecchio oratorio di Arnate abbandonato dopo la costruzione del nuovo oratorio; il 10 febbraio sono entrati i primi cinque ospiti della casa. Nostri volontari hanno diretto i lavori: un ingegnere, un’architetta e un altro tecnico che ha seguito le pratiche con l’Azienda sanitaria e il Comune. Tutto questo sotto la cappa del COVID-19. Per il 2 novembre avevamo predisposto anche il trasferimento, nella stessa sede, della Mensa di Carità denominata il Ristoro del Buon Samaritano, perché nella sede storica dove tornerà dovevano iniziare lavori di adeguamento dell’immobile. La rapida realizzazione della Casa ha saputo cogliere l’urgenza del servizio che voleva offrire.

La sede è molto bella. Il progetto è partito bene e ora dopo un mese e mezzo è già interamente abitata: undici ospiti e solo una camera singola libera per eventuali necessità di isolamenti sanitari.

Da parte nostra è stato importante il riferimento alla competenza della Cooperativa Intrecci. In un incontro a Gallarate dove era presente il Direttore della Caritas Ambrosiana Luciano Gualzetti, il Presidente di Intrecci Oliviero Motta e altri responsabili, io mi ricordo di avere chiesto garanzie sulla collaborazione della Cooperativa perché senza le competenze professionali vostre noi non potevamo partire. Sì, almeno in questo, è andato tutto bene.

Nel luglio dello scorso anno, annunciando l’inizio del percorso di “voto” che ha portato alla nascita della Casa di Eurosia, hai detto che sarebbe stata “un’occasione per crescere insieme”. Che cosa intendevi?

La città era provata dall’emergenza sanitaria. Il Santuario cittadino di Madonna in Campagna era stato il riferimento per un voto, che si ricorda ancora oggi, per chiedere la guarigione delle peste manzoniana del 1630. Abbiamo raccolto noi preti l’attesa di esprimere con un voto il nostro bisogno di salute e di salvezza: salvezza per la nostra fede provata dal trauma sanitario. Ne abbiamo parlato con i consiglieri pastorali e poi in tutte le occasioni di contatti, che nello scorso aprile avvenivano ancora in un contesto di molte precauzioni. Alla fine di luglio un’assemblea in Basilica di oltre duecento consiglieri parrocchiali ha discusso e approvato il progetto. E’ stato scelto un gesto caritativo come promessa di impegno associato al voto e in particolare si è scelta una casa perché le nostre case ci avevano protetti e in quei giorni purtroppo alcuni erano senza casa. Noi conoscevamo le persone senza dimora che frequentano la città, perché abbiamo il Ristoro del Buon Samaritano e presso La Casa di Francesco il servizio docce, la lavanderia e il parrucchiere per chi non ha altre possibilità. Il Ristoro avevamo dovuto chiuderlo: portavamo i panini, dando appuntamenti semiclandestini. Poi abbiamo riaperto le docce che pure erano state chiuse. Due ragazzi che frequentavano i nostri servizi, purtroppo, si sono tolti la vita. Questo per dire anche la prova spirituale di quei giorni. Così abbiamo scelto di fare la Casa.

Crescere insieme. Sì, innanzitutto le dieci parrocchie della città si sono messe a lavorare insieme al progetto. Poi la partecipazione è stata popolare; non possiamo dire che la popolazione ha risposto all’appello, ma che invece sono state le parrocchie ad accogliere l’attesa popolare perché qualcuno prendesse l’iniziativa di fare qualcosa che ci rappresentasse tutti.

Hai l’impressione che l’iniziativa della casa di Eurosia abbia prodotto buoni risultati per la vita sociale cittadina?

La preghiera al santuario raccoglieva innanzitutto un’attesa religiosa. La Messa celebrata all’aperto il 12 settembre sullo stradone accanto al santuario ha visto la presenza emotivamente intensissima di mille persone sedute, almeno altre cinquecento in piedi e millesettecento collegamenti in diretta streaming. Ci ha fatto bene ritrovarci insieme, anche in tanti, dopo che eravamo tutti stati chiusi in casa per tanto tempo. Ci ha fatto bene e il gesto religioso è stato insieme sobrio e potente, capace di permettere a tutti di sentirsi a casa.

Poi l’adesione al progetto di sostegno economico della casa è stata diffusa e popolare. Non ci sono stati grossi finanziatori, ma centinaia di donatori magari uniti in gruppi per arrivare ai mille euro all’anno o agli ottanta euro al mese sempre per tre anni per sostenere il progetto.

Diciamo anche che la città aveva bisogno di un gesto in cui riconoscersi e sentirsi riscattata, dopo il trauma dell’anno precedente, dove un’inchiesta sul malaffare aveva fatto di Gallarate l’epicentro di un sistema di corruzione che toccava le relazioni quotidiane dei cittadini e raggiungeva anche il livello regionale. Una brutta ferita. E l’anno ancora precedente, una lunga battaglia aveva impegnato l’amministrazione cittadina per lo sgombero del campo dei Sinti. La presenza di quel campo era problematica; la soluzione intrapresa per risolvere il problema ha creato anche molte tensioni e tutti ne sono usciti provati. L’adesione alla carità comune ci ha fatto sentire bene tra di noi con la nostra appartenenza cittadina.

Mi pare molto interessante il concetto di una collettività che si prende cura delle situazioni di chi è meno fortunato, e in questo modo rimane viva e alimenta il senso di comunità. Ci sono altri progetti che la Chiesa di Gallarate ha in cantiere per il prossimo futuro?

E’ più forte il senso di comunità se ad unire c’è il desiderio di tirare dentro la vita sociale tutti quelli che rischiano marginalità. Se la comunità per restare unita ha bisogno di emarginare qualcuno o di scartarlo, poi chi resta dentro si sente a disagio, ci vergogniamo gli uni degli altri.

Un primo progetto importante già lo scorso anno è stata l’impresa pionieristica di aprire i centri estivi, prime attività comunitarie permesse per ragazzi e giovani. I protocolli erano severi, qualche rischio diciamo pure che c’era, servivano molti volontari adulti, ma alla fine i nostri oratori hanno aperto ed è stato una bella esperienza e un bel segnale. Vogliamo rilanciare gli oratori. Credo che anche le Cooperative possano dare ottimi contributi a formare educatori che ne conoscano il linguaggio specifico e originalissimo. Serve anche qualche competenza professionale per valorizzare la dirompente energia degli animatori adolescenti e la disponibilità degli adulti di supporto organizzativo. Pensateci anche voi.

Poi dovremo trovare dei percorsi di uscita per gli ospiti della Casa di Eurosia. Ora che li abbiamo accolti dobbiamo trovarci per capire come immaginare di farli camminare in avanti, trovando per ciascuno il passo possibile e il supporto di cui potrebbe avere bisogno.

Infine vorremmo rigenerare bene alcuni immobili delle nostre parrocchie che fossero sotto utilizzati. La parrocchia del Centro in particolare ha già un progetto per un cortile solidale nella zona intorno all’abside della Basilica. Nello stesso cortile dove tornerà Il Ristoro del Buon Samaritano e dove troveranno sede altri servizi della Caritas (Centro d’ascolto, distribuzione viveri, vestiario e poi corsi di italiano per stranieri) stiamo progettando il restauro di un altro immobile che ospiterà un gruppo di tre giovani famiglie dell’Associazione Comunità e Famiglia di Villapizzone che faranno ospitalità a qualche situazione di fragilità e qualche mini-appartamento che una cooperativa del territorio dedicherà a progetti di prima autonomia per ragazze neomaggiorenni. Un cortile solidale.

A cura di Dario Giacobazzi

Info: d.giacobazzi@coopintrecci.it