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Dallo scorso autunno il progetto Sai “Benvenuti al Nord” ha stretto un’interessante collaborazione con la scuola Media San Francesco di Arese.

Il progetto Sai, di cui è ente titolare il Comune di Rho, accoglie nel territorio rhodense 59 beneficiari tra uomini singoli e nuclei familiari, all’interno di strutture collettive e appartamenti singoli.

La proposta di partecipare ad un progetto scolastico con giovani frequentanti due classi della scuola media è partita da un insegnante lungimirante che ha sentito come grande opportunità quella di mettere in relazione i giovani studenti con gli operatori e i beneficiari del progetto volto all’integrazione ed all’accoglienza di rifugiati.

Non c’è modo migliore del creare “ponti” per entrare in una reale dimensione di relazione, di ascolto e di elaborazione dei contenuti, anche emotivi, che ne emergono.

Gli studenti, prima del nostro arrivo in classe, hanno stilato una serie di domande da sottoporre alla coordinatrice, avendo come focus la comprensione di cosa sia una cooperativa sociale, di cosa significa concretamente accogliere persone rifugiate ed al beneficiario, Roberto, per comprendere perché e cosa accade quando una persona decide di fuggire dal proprio paese di origine.

È stato estremamente interessante, durante il racconto di vita fatto dal signor Roberto, osservare la postura immobile dei ragazzi, il loro sguardo attento ed alcune volte commosso, ma in particolare è stato impressionante ascoltare il silenzio che si è creato attraverso l’ascolto profondo, empatico, dei ragazzi.

All’interno di quel silenzio gli studenti hanno avuto modo di far emergere nuove domande, come a dar continuità personale ed intensità di interesse al lavoro precedentemente impostato nel laboratorio scolastico.

Dal canto suo, il Roberto non ha risparmiato la sua messa in gioco e, sovrapponendo i diversi ruoli, quello di ex insegnante, quello di beneficiario del progetto Sai, quello di genitore, marito e lavoratore, ha reso la sua testimonianza un veicolo di trasmissione di saperi, valori ed emozioni che vanno al di là della semplice consegna di elementi di apprendimento.

Roberto ha attraversato il “ponte”, consegnando un dono prezioso agli studenti i quali a loro volta, attraverso i doni del Natale, la stesura di un libretto dedicato alla memoria di persone rifugiate e due elaborati scritti, hanno percorso nell’altra direzione lo stesso ponte, diventando loro stessi veicoli di testimonianza di temi così importanti quali quelli dell’accoglienza e dell’integrazione.

Ecco cosa hanno scritto i ragazzi una volta ascoltata la storia di Roberto:

Roberto, un uomo che ha sacrificato tutto per i suoi figli, per far avere loro una vita migliore, ha rivissuto la sua drammatica esperienza raccontandola a noi, ragazzi delle scuole medie.

E’ nato nel Salvador da una famiglia molto povera. Il suo Paese attraversa da tempo una crisi economica e sociale: in ambito economico dipendono dagli Stati Uniti ed è molto difficile trovare un buon lavoro; dal punto di vista sociale, hanno superato una sanguinosa guerra civile, durata dodici anni.

Quando Roberto aveva sedici anni decise di intraprendere un viaggio a New York, dove, col passare del tempo, coltivò il grande sogno di diventare militare nell’esercito dei Marines. Questo sogno si infranse però quando a sua mamma venne un ictus e lui fu costretto a ritornare nel suo paese per aiutarla poiché le sue sorelle, ormai sposate e con famiglia, non sarebbero riuscite ad occuparsene.

Una volta tornato al Salvador, Roberto divenne un insegnante di inglese, si sposò ed ebbe il miglior regalo che potesse ricevere: la nascita dei suoi due figli.

Nel frattempo si erano però formate delle bande di ragazzi armati che erano coinvolte nel traffico di droga e che commettevano violenze ed omicidi; queste gang costringevano anche bambini innocenti ad entrare nel loro gruppo minacciandoli di morte. Se questi si rifiutavano, le conseguenze erano terribili: scomparivano per qualche mese e poi venivano trovati senza vita.

Roberto era terrorizzato ed aveva paura soprattutto per suo figlio che sarebbe potuto diventare vittima di questi orrori. Lui capì dunque che non poteva più vivere nel suo paese: era diventato troppo pericoloso per lui e la sua famiglia, così prese un’importante decisione: a malincuore decise di abbandonare El Salvador, lasciando lì tutto quello che aveva, dal suo lavoro di insegnante, ai suoi parenti, ai suoi amici, a tutto quello che conosceva. Doveva scegliere un paese sicuro, con un buon sistema sanitario, così scelse di venire in Italia.

L’arrivo in Italia non fu facile: un container fu la sua prima casa, la mensa dei poveri il luogo in cui andava a mangiare con la sua famiglia. A volte credeva di non potercela fare, rimpiangeva forse di essersene andato dal suo paese.

Poi entrò in contatto con un’associazione che aiutava le persone a rendere la loro vita migliore: la Cooperativa Intrecci. Quest’organizzazione gli diede una casa e trovò per lui un lavoro come sanificatore.

Adesso Roberto è in Italia da quattro anni, i suoi figli frequentano la scuola e lui, oltre a fare il proprio lavoro, si occupa anche della distribuzione dei vestiti ai poveri: questo lo rende felice perché, dopo essere stato aiutato, ora riesce lui stesso ad aiutare gli altri.

Sembra quasi che tutto sia tornato alla normalità, ma Roberto sa che non potrà mai dimenticare il suo paese: i suoi paesaggi, la sua cultura e la felicità e la vivacità delle persone che ci vivono. Tutto questo gli mancherà per sempre.

Ogni volta che si sveglia, però, sentendo la voce dei suoi figli che giocano, non si pente di tutte le scelte che ha fatto, perché hanno garantito a lui ed alla mia famiglia di avere un futuro migliore.

Monica Zocco

Info: futura@coopintrecci.it