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Metti un sabato e una domenica di settembre presso la Coop di Via Daverio a Varese: prende vita la raccolta di materiale scolastico promossa da Caritas Ambrosiana.
Nel nostro caso il materiale è stato donato all’Emporio della solidarietà di Varese che si occupa di famiglie in momentanea difficoltà economica nel decanato ormai da 6 anni.

La raccolta di beni per la scuola affianca le varie raccolte di beni alimentari promosse nel corso dell’anno ed è un po’ più complicata.

È molto facile far passare l’idea che persone in difficoltà possano aver bisogno di un pacco di pasta, o di una scatoletta di tonno; è più complicato invece far comprendere la necessità di avere a disposizione anche del materiale scolastico per i bambini e i ragazzi figli di famiglie che in un particolare momento della loro vita fanno fatica a mettere insieme le risorse necessarie per andare avanti.

La parte più difficile quindi è, all’ingresso, spiegare alle persone che entrano a fare la spesa chi sei e cose sei li a fare. Spesso vieni guardato con aria di sufficienza, tanti non ti ascoltano, alcuni prendono il sacchetto per sfinimento, ma non donano. Va bene così. Non siamo certo noi a dover/poter giudicare le vite e le azioni degli altri. Poi però succedono cose che ti spiazzano e quel sabato mattina, alla Coop di Varese, a rimanere senza parole sono stata io.

Verso la fine del mio turno, verso l’una, al banchetto dove raccoglievamo le donazioni si è avvicinato un ragazzo, sulla trentina. Appoggia un sacchetto sul tavolo e mi guarda. Io abbasso lo sguardo, guardo il sacchetto e penso “avrà comprato del materiale per i suoi figli/nipoti e adesso qualcosa lo regala anche a noi, che carino”.

Passano quei 2-3 secondi in cui faccio questo pensiero e vedo che inizia a tirare fuori le cose dal sacchetto. Una ad una escono squadre, penne, colori, un compasso, matite, gomme…rimango senza parole. L’unica che mi esce è “grazie”.

Lui finisce di sistemare le cose sul tavolo, mi guarda e con una naturalezza disarmante mi dice: “sai perché lo faccio?”. Io ormai con i lucciconi agli occhi scuoto la testa come a dire che no, non lo so; e lui continua: “perché è giusto che i bambini abbiamo la possibilità di studiare e scegliere, non devono finire tutti a fare l’operaio come me”.

Lo saluto, si allontana e io rimango li, emozionata e commossa.

Non c’era nessun giudizio malevolo dentro le sue parole, non ha sminuito il suo lavoro, non ha detto “io faccio un lavoro orribile e quindi non lo auguro a nessuno”. No. Ha semplicemente detto una realtà oggettiva che spesso non vediamo, perché non siamo abituati a metterla in relazione alle povertà. La difficoltà di accesso allo studio per quei ragazzi che sono dentro famiglie che non ce la fanno e che magari vorrebbero davvero dare un futuro diverso ai loro figli, ma non hanno i mezzi necessari. Allora attraverso una donazione così, a gesti così possiamo provare a mettere in mano a questi ragazzi una penna, un quaderno e una matita.
Come useranno questi strumenti starà a loro deciderlo, ma sappiamo di aver fatto ciascuno la propria parte.

“L’istruzione è l’arma più potente che puoi usare per cambiare il mondo”

N. Mandela.

Federica Di Donato

Info: f.didonato@coopintrecci.it