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Qualche giorno fa mi è stato chiesto: “di cosa ti occupi? Cosa fa nello specifico la coordinatrice dello sportello Scolastico d’Ascolto?”. Una domanda che nel 2019, quando iniziai questa attività, mi era piuttosto chiara perché chi mi aveva preceduto mi aveva istruito a dovere: coordinare le attività delle colleghe di equipe, progettare e verificare i piani di intervento, gestire le relazioni coi servizi e con tutti gli attori e le attrici del mondo scuola. Semplice, pensai, tutto nelle mie corde, già fatto in altri contesti lavorativi: nelle comunità, negli asili nido. Esercito anche la libera professione da diversi anni, ah si non l’ho detto sono una psicologa – psicoterapeuta e anche questo, pensai, mi sarà di certo di aiuto.

Oggi sono quasi tre anni che coordino gli sportelli d’ascolto nelle scuole dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado del Comune di Rho e devo dire che tutto è tranne che semplice. E’ un lavoro stimolante, arricchente, dinamico che mi ha dato e mi dà la possibilità di conoscere persone che a livello professionale e personale sono di continuo incentivo nel cercare e ricercare nuovi modi e strategie per migliorare il mio lavoro e quello delle mie colleghe.  Il vero punto di forza del servizio che coordino è l’equipe multidisciplinare che lo compone, colleghe pedagogiste, educatrici e psicologhe che da sempre hanno avuto il desiderio di confrontarsi, di mettersi in discussione e di condividere le proprie conoscenze ed esperienze al fine di poter offrire un servizio sempre più rispondente alle esigenze e ai bisogni richiesti dalle scuole.

Potrei elencare qui tutte le attività che in questi tre anni ho avuto il piacere e il privilegio di creare, studiare, costruire, realizzare insieme alle mie colleghe: le serate a tema con le famiglie, quelle con le/gli insegnanti, gli interventi nelle classi, i colloqui individuali con gli studenti e le studentesse delle scuole medie secondarie di primo grado, le tematiche affrontate, ma non è questo che mi resta, che mi arricchisce. Non è il numero dei colloqui né i contenuti degli incontri affrontati che fa la differenza. La differenza l’ha fatta e continua a farlo l’incontro con l’Altro anche laddove c’è stata incomprensione o non accordo.

Impossibile che non rimangano impresse nella memoria i visi dei bambini e delle bambine dell’infanzia che ti si avvicinano appena entri in classe e ti guardano con sguardo interrogatorio cercando attenzione, le domande “impreviste”, talvolta spiazzanti delle elementari, i colloqui con i ragazzi e le ragazze delle medie che sempre di più accedono al servizio mostrando un’apertura al dialogo maggiore di tanti adulti, le loro richieste di aiuto, di risposte alle domande che si pongono nel quotidiano.

La mia soddisfazione nello svolgere questo lavoro è pari all’impegno incessante che si deve mettere nell’instaurare relazioni: ogni relazione implica tempo, pazienza, attenzione, ascolto, empatia.

Vivere la scuola nella sua totalità vuol dire vivere di relazioni: con gli insegnanti, le studentesse e gli studenti, con le famiglie, ma vuol dire anche avere il privilegio di rimanere sempre in contatto con il futuro.

Nel ruolo che ricopro, vuol dire incontrare però tanto malessere, confusione, disagio, situazioni di cui mai vorremmo avere notizia. In tutto questo negli ultimi due anni si è aggiunta la pandemia: le persone, adulti e minori che ho incontrato quotidianamente hanno subito, chi più chi meno, il carico di ansia e affaticamento, disorientamento e stress. Soprattutto i più giovani portano i segni nel corpo e nella mente di questo lungo periodo destabilizzante. Il numero di gesti di autolesionismo, di disturbi della sfera alimentare, di depressioni è aumentato.

Laddove la vita deve essere leggera e priva di pensieri, il quotidiano riporta all’incerto. Ecco perché diventa sempre più importante lavorare come e con la comunità educante, perché si costruisca un dialogo a partire dalla famiglia e dalla scuola, dove la domanda principale da porre sia “come state?” La scuola è il luogo da dove deve nascere la cultura del benessere, dialogare, sorridere, ascoltare, del prendersi cura, non solo del sapere.

Ho incontrato tante e tanti bravi insegnanti che ogni giorno si impegnano in una costante ricerca di attenzione nei confronti dei propri alunni non solo in termini didattici ma personali. Persone che si prendono a cuore davvero la persona in primis e non solo l’alunno.

La cosa più difficile di questo lavoro, ma credo per chiunque lavori nel sociale, è tenere a bada la frenesia nel voler cercare di risolvere velocemente i disagi, le fatiche, i malesseri, le problematiche che si incontrano nell’Altro.

Come si recupera l’energia, la volontà di proseguire in questo tipo di lavoro? Mantenendo la giusta distanza emotiva, ma riscoprendo l’entusiasmo ogni qualvolta si è avvertito di aver aperto un varco.

Rossella Salerno

Info: adolescenti@coopintrecci.it