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Suono il citofono, consapevole che sarà l’ultima volta da educatore del progetto e ripenso al modo migliore per comunicare alla famiglia questa notizia. Apro la porta d’ingresso e trascorriamo il pomeriggio come uno dei nostri “classici” incontri: chiedo come stanno, come è andata la giornata a scuola e a casa con la nuova piccola arrivata, affrontando i vari problemi della giornata – tra cui questi maledetti documenti che aspettiamo da tempo, il lavoro e i compiti di Alex (nome di fantasia)… vero tasto dolente della giornata. Ancora non sanno che purtroppo, però, oggi è tutt’altro che un “classico” giorno! 

Chiamo tutta la famiglia in sala, chiedo loro di sedersi e comunico la notizia che a partire da oggi non sarei più stato educatore del progetto. 

La mamma allora reagisce arrabbiandosi e dice: “Visto? è sempre così: alla fine voi ve ne andate”. Quella reazione inizialmente mi spiazza, ma ripensando alla loro storia la comprendo: la famiglia, proveniente da un altro servizio di accoglienza, ha già sperimentato un’interruzione di questo tipo e la fine della relazione con gli educatori.

Quelle parole – “voi ve ne andate” – mi hanno portato a riflettere.

È vero, alla fine noi ce ne andiamo, ma questo è anche uno degli obiettivi dell’educatore: dopo aver percorso insieme un pezzo di strada con la famiglia, lasciarla vivere autonomamente – quando sarà pronta – con più sicurezze, più strumenti e maggiore consapevolezza. Questo episodio, però, mi ha fatto anche capire quanto per una famiglia possa essere difficile mettersi in relazione, fidarsi e lasciarci entrare nelle sue dinamiche, nei rapporti, dentro i problemi e le fatiche.

Lavorando, ti accorgi ben presto che il rapporto non è mai unidirezionale e che educare significa anche camminare insieme. Al centro del rapporto non ci sono solo i problemi, le specifiche situazioni, bensì le persone, ciascuno con la propria storia e i propri bisogni. C’è una storia che va ascoltata in silenzio, con occhi attenti e che non giudicano mai. Durante il viaggio ci si porta sempre a casa qualcosa, perché le persone insegnano e le relazioni segnano.

Educare significa camminare insieme, a volte semplicemente questo. Percorrere insieme un pezzo del sentiero della vita, in cui l’educatore, attraverso la relazione, cerca di semplificare le cose difficili – o forse le complica, come direbbe Alex, figlio di 13 anni, che con i compiti non vuole mai averci a che fare.

Il valore di un progetto educativo consiste proprio in questo: costruire giorno per giorno un rapporto, in cui la relazione sia al centro. Una relazione che richiede fiducia, tempo e una buona dose d’investimento… anche emotivo.

La reazione di quella mamma mi ha mostrato, con la forza di un pugno nello stomaco, quanto investimento ci sia da entrambe le parti e che dal rapporto educativo se ne trae fuori sempre qualcosa… e del resto etimologicamente educare non significa proprio questo?

Alessandro Bragagnolo

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