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Si è appena concluso un percorso formativo delle due strutture della cooperativa che si occupano di Minori Stranieri Non Accompagnati: le comunità “Casa Elim” di Canegrate e “L’Arbusto” di Milano. Entrambe le equipe hanno avuto la possibilità di svolgere una formazione di sei incontri sulla Difesa Relazionale tenuta dal pedagogista Igor Salomone. La modalità con cui è stato strutturato il corso ha dato la possibilità agli operatori di poter adottare uno sguardo differente e inedito al lavoro che svolgono quotidianamente. Vediamo come.

Nella pratica delle professioni educative si vive in contesti relazionali intensi nei quali è presente la possibilità che nasca un conflitto che possa sfociare in uno scontro, talvolta anche violento. Per gli educandi il conflitto di spazi, di attese, di visioni del mondo, persino il conflitto implicito in ogni relazione con l’educatore sono generatori di stress che possono sprigionare aggressività con esiti anche violenti. Talvolta la violenza non va considerata come una qualità del nostro aggressore, ma come una condizione generata dal contesto della nostra relazione. Non si tratta solo di spintoni, pugni o schiaffi, sono multiformi i modi dell’essere aggressivi, o per lo meno di essere percepiti come tali, e il più delle volte senza contatto corporeo diretto. Il corpo però c’entra sempre perché è con esso che avvertiamo o provochiamo una frizione, un contrasto, uno scontro. Tutto passa da lì. Il rischio è quello di rispondere in maniera errata a determinate situazioni come ad esempio irrigidendosi, alzando la voce, gonfiando il torace, cercando di afferrare le braccia del proprio presunto aggressore e simili. È proprio su questo aspetto che si sviluppa la Difesa Relazionale. 

Serve avere coscienza delle proprie reazioni di fronte a un atto aggressivo, perché non è mai dato sapere se un gesto aggressivo è gratuito o se è una risposta al nostro maldestro modo di difenderci. Serve chiedersi da dove viene ciò che ci sta accadendo quando l’altro mette in atto agiti aggressivi. Quell’atto va letto come l’ultimo di una catena di fatti non governati in precedenza. Dunque qualsiasi nostra reazione avrà conseguenze su quella relazione in futuro, e non possiamo escludere che l’attacco subito oggi non sia la conseguenza di qualcosa che abbiamo fatto ieri.

Durante la formazione si è svolto un intenso lavoro di prevenzione lavorando sulla scena educativa, per tentare di renderla meno pericolosa, e imparando ad ascoltare come il proprio corpo attraversa la relazione così da poterlo mettere in sicurezza relativa. Si tratta di educare il corpo ad ascoltarne la presenza, a prevenirne l’esplosione e a ridurne l’eventuale impatto. Lo scopo generale è promuovere, sostenere e sviluppare la capacità dei corpi di affrontare i conflitti generati dall’incontro, trasformandoli in apprendimenti incorporati nei gesti di ognuno. 

Ecco, questa è la “Difesa Relazionale”. Parte dal presupposto che ogni incontro è in realtà un incontro di corpi in cui si scopre la propria vulnerabilità e, per questo motivo, i corpi si avvicinano tenendo le distanze. Dunque la relazione e la difesa non sono dei principi contrapposti ma sono bensì una la condizione dell’altra. 

È un’autodifesa etica e consapevole che mira a difendere la relazione con l’altro, anche quando ci aggredisce, che tiene in conto la protezione di entrambi, che sa creare le condizioni per evitare l’escalation, che mette in sicurezza i luoghi dell’incontro.

L’educazione passa attraverso i corpi e occorre dunque imparare a incontrare il corpo dell’altro, proteggendolo e proteggendosi. 

Alessia Sciuto 

Info: e.pauciello@coopintrecci.it