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Omar è nato in piena emergenza sanitaria. Nella lettera di Marica Venezia, tutte le emozioni vissute in questi mesi d’attesa, vicini ma lontani. “Le difficoltà ci hanno stimolati ad inventarci nuovi modi per essere presenti; non è stato facile, ma, sai Omar, le emozioni passano anche attraverso strumenti freddi, ed il senso della vita abbatte ogni ostacolo. Una nuova e preziosa vita è arrivata senza bussare: la TUA”.

Caro Omar,
eccomi qui a raccontare quello che è successo mentre eri nella pancia della tua mamma. Sei arrivato in un momento difficile, ma ora possiamo dire che è andato tutto bene. Sei nato donandoci un grande insegnamento: la vita, al di là degli ostacoli e delle complessità, porta con sé la spinta innata alla generatività, all’impellente necessità di esplodere e di affrontare coraggiosamente la sfida, anche quando il mondo fuori parla di morte e dolore.

Sono passati sette mesi da quando siamo arrivati insieme in questo progetto SPRAR. Ho accolto la tua nascita, questa nuova esperienza professionale e personale, con grande entusiasmo ed insieme alla tua mamma, abbiamo camminato.

L’ho accompagnata dalla dottoressa: è stato emozionante sentire il tuo cuoricino battere. Sai Omar io non ho figli e non mi era mai successo di accompagnare qualcuno a fare questo tipo di ecografia; per lei non era la prima volta, ma per me sì, e spesso mi ha suggerito lei cosa fare. Ci dissero che avevi un cuore forte e tanta voglia di farti sentire. Da quel momento sono sempre stata vicina alla tua mamma, anche nei momenti difficili. Infatti a marzo tutto è cambiato: l’emergenza coronavirus ha trasformato il mondo, il modo di stare insieme e il mio “accompagnare” la tua mamma. Con i colleghi ci siamo confrontati per capire come affrontare nel migliore dei modi questa inaspettata situazione che ci ha obbligati a non poter essere presenti fisicamente. La mamma è una donna forte e saggia, ma non potevamo certamente lasciarla sola. In questo periodo in Italia tante volte si sono sentite pronunciare le parole “vicini ma lontani” e noi, con la tua mamma e con tutta la tua famiglia, siamo riusciti a far sentire il nostro supporto da lontano, ma vicini.

Nella prima visita che la tua mamma ha fatto senza di me, le hanno diagnosticato il diabete gestazionale. Mi sono chiesta: e ora? Come poterla seguire in questi controlli? Con i colleghi ci siamo impegnati per darle il nostro supporto: abbiamo contattato l’ospedale di Rho, dove alla fine sei nato. Tua mamma era in ospedale almeno una volta a settimana tra visite diabetologiche, ginecologiche ed esami del sangue e io dall’altra parte del telefono “lontana ma vicina” con questa nuova modalità.
Nel frattempo tu crescevi nella pancia che la mamma mi mostrava orgogliosa durante le videochiamate. Mi è davvero dispiaciuto non poter vivere questi cambiamenti dal vivo.

La settimana prima della tua nascita, la mamma è dovuta stare tre giorni in ospedale per eseguire i controlli di pre-ricovero. È stato quindi necessario che il tuo papà si assentasse nuovamente dal lavoro per stare con i tuoi fratelli.

Nei giorni precedenti alla tua nascita l’emergenza continuava, l’ospedale mi aveva spiegato cosa sarebbe successo il giorno del parto: papà sarebbe stato con te e mamma le due ore successive la tua nascita e, nei giorni seguenti, non sarebbe stato possibile venire a trovarvi.

Abbiamo pensato come poter aiutare il papà e la mamma a vivere insieme il momento del tuo arrivo; la mattina della tua nascita ho fatto accomodare la tua mamma (e te) nella mia auto e ci siamo diretti in ospedale: non dimenticherò mai come mi mostrava emozionata la sua pancia muoversi, non vedevi l’ora di venire al mondo. Dopo sono andata a casa dai tuoi fratelli, per permettere a papà di raggiungere la mamma in tempo per vederti nascere, anche loro erano emozionatissimi, mi facevano domande per cercare di capire quando sarebbero riusciti a vederti, a stringerti tra le loro braccia.

Quante sigarette ha fumato quel giorno il tuo papà… e niente digiuno del Ramadan. Alle 15, quando ogni secondo di attesa sembrava un’ora, è arrivata la tua prima fotografia e poco dopo una videochiamata. In casa, noi tre eravamo talmente gioiosi, che gli sguardi s’incrociavano e parlavano con l’espressione. Tre giorni dopo sono venuta a prendervi in ospedale: eri davvero bello, un viso sereno e rilassato, quasi incredibilmente consapevole che tutto era andato per il meglio. Arrivati a casa i tuoi fratelli ti hanno fatto le feste, è stato commovente assistere a questo momento: le difficoltà ci hanno stimolati ad inventarci nuovi modi per essere presenti; non è stato facile, ma, sai Omar, le emozioni passano anche attraverso strumenti freddi, ed il senso della vita abbatte ogni ostacolo. Una nuova e preziosa vita è arrivata senza bussare: la TUA.

Marica Venezia

Info: siriani@coopintrecci.it