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Storia di Ahmed, dal carcere al reinserimento

Ahmed arriva in appartamento a Parabiago nel mese di settembre 2020. E’ la prima volta che ci incontriamo in presenza, ci siamo conosciuti solo attraverso una telecamera in uno degli improbabili colloqui fatti in videochiamata con il carcere di Varese sul finire della prima emergenza della pandemia. Conosciamo da molto tempo l’educatore che ci ha parlato di lui, ci ha fatto una presentazione molto semplice di una situazione che ci terrà impegnati e attenti alle complessità. Nei mesi scorsi c’è stato un vorticoso scambio di mail di conferma e di attesa, e l’ultima parola è del Magistrato che solleva qualche dubbio e che ci porta ad esporci un po’ di più: lavoreremo in una città distante da Varese, faremo ad Ahmed alcune proposte per rileggere le vicende accadute.

Sulla possibilità che vada tutto bene abbiamo le dovute riserve, ma una buona alleanza con Ahmed e con i servizi ci potrà permettere di condurre il percorso al meglio. Inoltre il fine pena non è così lontano e uscire prima potrà essere un buon allenamento alla libertà piena.

La misura concessa è stringente, il tempo fuori dalla casa è poco, occorre conoscere al meglio la situazione per trovare spazi di lavoro che possano permettere ad Ahmed di sperimentarsi sul territorio. In casa le dinamiche sono da subito molto pulite e piacevoli: siamo riusciti a non rendere ancora l’appartamento una cella e il lavoro di noi operatori ha inizio. I primi passaggi sono quelli burocratici e noiosi fatti di comunicazioni varie, dell’ufficio sceltaerevoca per il medico di base, che ai tempi del COVID pare ancora più irraggiungibile, di contatti per trovare spazi di socialità: il teatro con l’associazione Oblò, qualche tentativo sullo sport (ma il coprifuoco non aiuta) e poi a novembre un tirocinio lavorativo presso la cooperativa “La Valle di Ezechiele”.

Arriviamo a questo punto grazie a collaborazioni preziose, a contatti con i servizi sociali del Comune di Varese con i quali inquadriamo al meglio la situazione personale e “famigliare” (il nucleo costruito in Italia) di Ahmed e ci concediamo la sperimentazione dell’attivazione del tirocinio. Ora si può uscire da casa e farlo in autonomia secondo un percorso ben stabilito, con la concessione di poche distrazioni ma anche questo è un pezzo in più.

Nelle chiacchierate che forse dovremmo chiamare colloqui traspare a volte il senso di fatica: “Era meglio se stavo dentro…. Avevo meno problemi”, ma una volta che ci abituiamo a contare fino a 10 dopo queste frasi, riusciamo a trovare una risposta che motiva e sostiene il cambiamento.

E così si procede: impegno lavorativo al mattino, qualche colloquio dallo “strizzacervelli” nel pomeriggio, sistemazione dei documenti con passaggio all’anagrafe, patente per il muletto presso ENAIP, e poi colloqui da remoto per un “lavoro vero”: compaiono così Amazon ed altre opportunità sempre un po’ difficili da rendere realtà, resta il tarlo di non riuscire a fare la patente che è un presupposto importante nella ricerca del lavoro.

Ahmed è un valido riferimento nella casa, capace di percepire le tensioni e di (so)stare nel mezzo, dando a noi operatori il ruolo giusto, avvertendoci quando la situazione si sta facendo difficile. Il periodo del  Ramadan un po’ ci sorprende: la fatica del “sacrificio” quotidiano, il pensiero del fine pena prossimo, la mancanza di un contatto stabile con la famiglia lontana, tutto gioca un brutto scherzo e dobbiamo guardarci negli occhi per dirci come vanno davvero le cose. E le cose non sono le solite: la spesa, le pulizie, il biglietto del treno… Le cose sono anche questa volta quelle più personali, è tentare di dare un nome a una fase che pare sfiorare lo stato depressivo.

Pre-occuparsi è necessario e doveroso per noi operatori, facciamo un po’ tam-tam e diventiamo un po’ più prossimi: e così la festa di fine Ramadan pare davvero una liberazione dalla fatica e l’occasione per ricominciare. A breve arriva anche la conclusione della pena: possiamo provare a continuare a stare nell’appartamento, e darci il tempo di uscire in modo dignitoso.

Anche l’estate si fa sentire, il tirocinio si sta per concludere e Ahmed annuncia il suo più grande desiderio: ritornare a salutare la mamma in Tunisia, dopo 4 anni che non si vedono, dopo il percorso di reclusione, dopo la ricerca del perdono, dopo la fatica di essere ancora alla ricerca della fortuna del proprio percorso migratorio. “Il paradiso è sotto i pedi della mamma”, una sura del Corano contiene queste parole o recita più o meno così, e mi sembra non ci sia scampo di fronte a questo desiderio, davanti alla possibilità di ritrovare un calore che poche situazioni sanno dare, qualsiasi sia la tua età. Siamo stupiti e forse un po’ emozionati insieme a lui: vogliamo anche noi che questa possibilità si faccia concreta… e come sempre non si resta troppo ad aspettare. Il volo possibile sarà per la fine di giugno, occorre organizzare. Il vaccino, e poi il tampone e poi due vestiti per il mare e poi un pensiero per chi non si vede da tempo, soprattutto “per i miei nipoti” e per un’amica speciale.

Ognuno di noi ha il proprio compito: ricerca del luogo per il tampone, documento dell’avvenuto vaccino, acquisto del biglietto. E poi il pomeriggio più piacevole: i regali per chi sarà là ad aspettare. Rubo ai colleghi questo privilegio, e un lunedì pomeriggio a ridosso della partenza andiamo a comperare qualcosa. La cifra è ovviamente contenuta, ma questo non rappresenta un problema. Lo spaccio della Lindt è freddo da paura, siamo tra i pochi clienti di un pomeriggio di giugno, e  ci lasciamo consigliare da commesse disponibili a girare tra caramelle e cioccolati. Il più bello è in una scatola di latta, è un cioccolato dal sapore buono ma soprattutto la sua confezione avrà il pregio di restare “persempre” e di raccogliere ricordi e speranze e possibilità di un domani, quando Ahmed sarà ritornato a ri-cercare fortuna in Italia e il contatto sarà come sempre la videochiamata. La scatola di latta è bellissima, ha un disegno che evoca amore, è ben confezionata e resisterà al viaggio e all’inevitabile assalto al suo contenuto.

Ecco, il bagaglio ora è completo. Si può partire. Occorreva quest’ultimo rito della partenza per ricordare ad Ahmed che ora è un uomo libero, non ci sono più scuse o ostacoli per ricominciare.

La prima foto che ci arriva sul cellulare è con i nipoti e poi finalmente il mare. Per una come me che soffre di lontananza dal mare sapere che finalmente Ahmed ha potuto correre a piedi nudi tra la sabbia e l’acqua dopo così tanto tempo è davvero un bel momento di conferma che “ne è valsa la pena”. In un’altra foto vediamo anche la scatola di latta, è vuota ma servirà e mantenere il legame quando a metà luglio Ahmed ritornerà in Italia.

Allora possiamo dirlo, oggi guardando questa storia, possiamo confermare che “è andata bene”. Certamente tra le carte ricevute per tutte le nostre richieste anche il Magistrato avrà intuito che il tempo per il reinserimento di Ahmed era maturo e che la scommessa di vederlo sul territorio era da giocare.

Lui ha ancora davanti a sé tante possibilità e qualche inevitabile fatica, ma sono quelle che ci portiamo addosso anche noi.

Sicuramente tutti abbiamo imparato qualcosa da questo anno trascorso insieme: certamente nella mia “scatola di latta” conserverò ricordi, suggestioni, suggerimenti e tanto altro di questa storia.

Oggi Ahmed ha trovato lavoro, e la storia continua. Ne incontreremo un’altra e ancora ne racconteremo… Per i più anziani tra noi questo finale evoca un po’ le favole che ascoltavamo su improbabili 45 giri… “Il disco fa click e vedrete tra un po’ si spegnerà”, suonava più o meno così.

In realtà saremo sempre un riferimento per Ahmed ovunque sarà, ma per ora finiamo così.

Buona fortuna, complimenti per la tenacia e grazie per il ricordo che possiamo conservare e condividere.

Sabrina Gaiera

Info: a.savi@coopintrecci.it