Non capita spesso una Pasqua così. Di norma si approfitta di questa festività per una sosta dal lavoro, un anticipo delle ferie estive, un pilastro per uno dei tanti ponti vacanzieri. E poi affetti famigliari, qualche occasione di svago (sempre che non piova), al massimo un cinema in compagnia.
Non per tutti è così. Quest’anno Moussa, uno degli ex ospiti dei nostri servizi/progetti, ha voluto ricordarci che Pasqua significa passaggio, cambiamento, memoria e restituzione.
Moussa è oggi un giovane di quasi venticinque anni. Non tutti i suoi sogni si sono avverati. Originario del Niger, è fuggito dal suo paese perché si è rifiutato da adolescente di frequentare una scuola coranica integralista. Molti suoi amici hanno accettato, potendosi così permettere abiti buoni, di avere un po’ di soldi in tasca, di mangiare bene. Ma le carriere di molti di loro sono sfociate nell’arruolamento in milizie islamiche, come avviene in Nigeria con Boko Haram o in Somalia con al-Shaabab. Non così per Moussa che nella ricerca di un futuro migliore ha deciso di non piegarsi a questa logica. La Libia prima, poi l’Italia. In realtà inizialmente voleva soltanto lavorare un po’ per guadagnarsi i soldi per comprare un automezzo e non dover più trasportare con il carretto o sulla testa i pesanti sacchi di arachidi con cui seminava i campi di proprietà della sua famiglia. Campi sempre contesi fra nigerini e popolazioni tamascheq (questo il vero nome di quelle popolazioni che con un francesismo chiamiamo spesso tuareg).
Poi è emerso il pensiero dell’Europa e dell’Italia: da qui la partenza, l’accoglienza, il delinearsi di un progetto. Dalla Sicilia è stato accolto poi a Casa Itaca. Qualche serata in discoteca anche senza permesso, ma anche la disponibilità a farsi guidare in un progetto individualizzato. Da giovane mussulmano ha accettato di frequentare un corso di formazione per diventare macellaio, un mestiere faticoso ed impegnativo, anche per la difficoltà ad adeguarsi a tecniche di macellazione non halāl. Dalla formazione ha avuto l’opportunità di uno stage, l’assunzione da apprendista in un supermercato, ma ha incontrato anche persone che non gli hanno dato fiducia e responsabilità. Poi con la crisi economica le ore di lavoro si sono ridotte. Moussa si è però sempre impegnato nello studio della nostra lingua che con il tempo è diventata anche un po’ sua.
La vita con poco più di 600 euro al mese non ti concede molto: l’affitto da pagare, la spesa settimanale, la convivenza con altri 12 migranti (attenzione, in un hinterland benestante), i conflitti con i coinquilini, la bicicletta rubata due volte. Niente discoteca, niente scarpe nuove, niente fidanzata perché “chi si prenderebbe un precario come me”. Insomma una vita all’insegna del “non me lo posso permettere”. E poi la fede in Dio che non ha ancora deciso se chiamare Padre o Allah.
Ma Moussa non si dà per vinto: con il pensiero sempre orientato a rivedere il suo paese dopo quasi dieci anni di assenza, dopo la fuga da adolescente.
Ecco perché il suo gesto per le festività pasquali assume una grande importanza. Sapendo che la Cooperativa Intrecci ospita dodici minori stranieri non accompagnati ha voluto regalare ad ognuno di loro un uovo di Pasqua. Lo ha voluto regalare ad adolescenti che come lui hanno lasciato il loro paese di origine abbandonando affetti ed identità in transizione per intraprendere la sfida del “Viaggio”. In questi ragazzi Moussa si è riconosciuto e di loro si è sentito un po’ fratello maggiore.
Mi sa tanto che un regalo glielo facciamo anche noi: magari una bicicletta (usata s’intende) sistemata nella nostra ciclofficina fai da te. Pazienza poi se qualcuno la ruberà ancora. Del resto nella vita è spesso questione di restituzione.
Danilo Giansanti