Ci sono dei ragazzi che portano allo sportello esperienze travolgenti: è il caso di un ragazzo straniero che si è trasferito in Italia per ricongiungersi alla propria famiglia.
Ha lasciato il suo Paese, i suoi affetti importanti e i suoi valori di riferimento, profondamente radicati in lui, ed è arrivato a Rho senza saper parlare una sola parola di Italiano e senza saper nemmeno utilizzare la penna. Colpisce la determinazione con cui questo ragazzino si è attivato in maniera autonoma e consapevole per approdare allo sportello, dove ha riportato fin dal primo incontro tutte le sue fatiche e difficoltà: difficoltà di relazione con i compagni, fatica a metter da parte pensieri ossessivi che lo tenevano legato alla sua terra d’origine e alle sue credenze, tanto da non riuscire a concentrarsi in classe; la sua mente era al suo Paese.
Durante gli incontri allo sportello il ragazzino porta soprattutto temi legati alla sua religione e al benessere che prova nel seguire gli insegnamenti dei leader religiosi del suo Paese.
Non si è mostrato pronto per raccontare la sua vita passata e cosa si aspettava venendo in Italia, ma è riuscito ad utilizzare lo sportello per sfogarsi e per depositare un po’ di quella rabbia che non riusciva più a controllare: rabbia che derivava dalla paura, da aspettative infrante e da un destino che gli sembrava avverso e lo obbligava a rinunce affettive importanti.
Ha espresso gratitudine per essere stato ascoltato nelle sue fatiche e difficoltà (“ci sono troppe regole per noi stranieri, qui in Italia. E se subisci un’ingiustizia devi stare fermo e zitto perché hai paura di infrangere chissà quale regola che non conosci.” )
E’ stato contento di sentirsi sostenuto ad esplicitare il suo progetto di vita: “Voglio imparare l’italiano, trovare un lavoro e guadagnare dei soldi per ritornare a vivere nel mio Paese”.
E con aria serena saluta, dicendo che i rapporti con i suoi compagni nelle ultime settimane sono migliorati. Ora sta meglio.